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Accendere la speranza

Quest’anno ho avuto il piacere di festeggiare il 17 febbraio con la comunità di Luserna San Giovanni. I falò della vigilia, la chiesa piena, la musica ricca e varia, le preghiere… Le parole delle Scritture sono state ancora una volta proclamate, creando un’atmosfera di gioiosa fraternità in questa antica chiesa delle Valli… Insomma, c’era tutta l’atmosfera speciale che questa celebrazione porta con sé, creando come una parentesi nel tran tran della quotidianità, una di quelle parentesi che permettono di prenderci una pausa dai pensieri di ogni giorno e di concederci un attimo di piacevole speranza, perché la festa del “17” sembra immune dalle preoccupazioni, fin troppo concrete, che assillano anche le nostre chiese nelle normali occasioni di culto.

Fa bene avere di questi momenti, quando si ha la sensazione di tornare a casa, almeno con la mente e con il cuore. Rinfranca, visto che poi il calendario prosegue la sua marcia inarrestabile e il tempo della festa, con la pace che porta, finisce, riconducendoci alla vita normale troppo sovente densa di preoccupazioni, di ansie, di ombre che coprono questo vasto mondo e vibrano nella pelle dei miliardi di persone che lo popolano. Ce n’è ben d’onde… Il 24 febbraio siamo entrati nel secondo anno di guerra in Ucraina; qualche giorno prima il terremoto in Siria e Turchia; proprio oggi l’ennesimo naufragio di disperati, e di nuovo si contano i morti…
C’è una cosa che lega tra loro questi fatti drammatici e le tante più piccole situazioni difficili della quotidianità: il nostro senso di impotenza. Sembra che ogni volta la vita voglia ricordarci quanto, come singoli, siamo spesso deboli, fragili, mentre, come collettività, ci troviamo divisi e orfani di una visione del mondo alternativa a quella presente, spacciata come l’unica vincente, ma il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti, con la sua scia di morte, di dolore, di devastazione ambientale.

Diventa allora facile chiudersi nel proprio bozzolo, aggrapparsi alle rovine del passato e delle sue conquiste, e allontanare il mondo che, però, non ha nessuna intenzione di rimanere fuori dalla porta di casa e ci chiede con forza se vogliamo subire o gestire gli inevitabili cambiamenti. Culturalmente e politicamente è chiaro a che punto siamo: la paura spinge l’Europa in una direzione contraria agli ideali su cui si era costruita; risorgono i nazionalismi e i particolarismi; in troppi ci sentiamo di votare per disperazione chi più sembra acquietare le paure indotteci da una cultura che genera paure e di paure vive. E, quando cerchiamo di fare un discorso evangelico in questo contesto, ci sembra di essere dei buffi alieni… Siamo forse senza speranza?

La Bibbia e la nostra storia ci insegnano che non esistono tempi così bui da spegnere ogni fiducia. La paura ci spinge a chiudere gli occhi, perché sa bene che, se ci guardiamo attorno, le cose sono meglio di come sembrano. La parentesi del 17 febbraio sopra evocata ce lo dice chiaramente: non siamo soli, e quelli che desiderano pace e libertà sono tanti, molti di più di quello che pensiamo. Bisogna aprire gli occhi per vederlo e capire che il mio vicino non deve per forza essere il mio nemico o che lo straniero non è venuto per rubarmi quel poco che rimane. La società civile sarà frammentata, ma c’è, eccome. Nel mondo della politica e della pubblica amministrazione non troviamo solo corruzione, ma anche persone intelligenti che si impegnano per il bene comune.

Pure la nostra chiesa, per quanto piccola e goffa, cerca di guardare avanti e pensare un futuro nuovo e, anche qui, ci accorgiamo di quante belle opere e di giuste battaglie siamo capaci di combattere. La speranza non nasce dalla constatazione che possiamo raggiungere un obbiettivo, ma è la forza che ci aiuta a tenere duro proprio quando tutto sembra essere perduto. Per un cristiano la speranza è sapere che l’ultima parola, nonostante tutto, appartiene a Dio e che questa è una parola di vita.

Uccidere la paura e accendere la speranza, ecco lo scopo dell’evangelo. E questo è possibile perché lì troviamo quella visione alternativa del mondo che può fare di noi veramente dei costruttori di pace, dei difensori della giustizia. Ci manca il coraggio di farlo? Troviamolo. Non siamo abbastanza indipendenti dai poteri di questo mondo? Liberiamocene. Abbiamo paura? Impariamo a controllarla. Ci sentiamo in pochi? I primi discepoli di Gesù erano solo una manciata di persone piuttosto semplici. No, non abbiamo scuse per la rassegnazione, perché il Signore ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno e non ci lascia soli. Sta a noi, ogni giorno, di scegliere se stare dalla Sua parte, oppure se sottometterci ai signori di questo mondo e alle loro paure, abdicando alla nostra vocazione di singoli e di chiese.