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Una, dieci, cento Città sopra il monte

«La prima puntata della rubrica veniva pubblicata il 17 maggio 2013, con la presentazione della giovane comunità di lingua francese di Roma; il testo sul settimanale era breve, scritto da me sulla base delle informazioni ricevute, mentre la parte più consistente, scritta dalla comunità, veniva pubblicata sul sito web». Così Lucilla Tron, responsabile dell’ufficio promozione di Riforma e curatrice di «Città sopra il monte» (titolo ispirato a Matteo 5, 14: «Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta») ne rievoca gli esordi, quasi dieci anni fa. 

Pochi mesi dopo, il 23 agosto, Angrogna apriva un’analoga serie dedicata alle Valli valdesi, «Una chiesa alle Valli», che si sarebbe conclusa circa due anni dopo, con il completamento delle diciassette comunità. In questo caso, curati da Giorgio Tourn e Samuele Revel insieme a collaboratori delle chiese, i testi venivano pubblicati interamente negli spazi de L’Eco delle valli valdesi, occupando una o due pagine.

L’esperienza della “città sopra il monte” è invece proseguita, e possiamo dire che non si è ancora conclusa: ma perché era nata? «Dopo una fase iniziale di contatto con le comunità per stimolarle a promuovere il settimanale e la “campagna giovani” – ricorda, – per dare continuità al dialogo si è pensato a una rubrica regolare in cui ogni comunità potesse presentarsi, per far conoscere le chiese battiste, metodiste e valdesi ai lettori a livello nazionale. Contemporaneamente si sperava di rinnovare l’attenzione delle comunità per il giornale come utile mezzo di conoscenza e interesse reciproco». Si chiedeva quindi al consiglio di chiesa e al pastore di preparare una presentazione che, accanto all’introduzione storica, riferisse in particolare delle attività rivolte verso l’esterno, di impegno sociale, testimonianza e interazione con il territorio: «Ho cercato di seguire una distribuzione varia, sia geografica sia denominazionale, in modo da poter dare un’idea delle diverse realtà, piccole e grandi, nelle città o nei paesi. È stato un impegno molto gratificante, che ho fatto con piacere e interesse: spesso il rapporto è stato agevolato da una precedente conoscenza e nella maggior parte dei casi la nostra richiesta è stata apprezzata e a volte anche lodata!». A oggi, ricorda Tron, «le chiese che hanno partecipato sono circa 140 e speriamo che altre possano ancora farlo. La quantità di informazioni pubblicate è molto interessante e variegata e auspichiamo di aver raggiunto, almeno in parte, lo scopo di informare e creare dei legami nella realtà protestante nazionale».

Nel tempo la rubrica si è evoluta, in parte per l’esperienza acquisita, in parte per esigenze redazionali: nel primo anno (2013-2014), come accennato all’inizio, buona parte dei testi si trovava sul sito di Riforma e «la cadenza prevista era settimanale, con qualche eccezione quindicinale; nell’autunno 2014 con il progetto “Riforma si fa in 4” è iniziata la pubblicazione della newsletter quotidiana, con relativa modifica del sito web. Per la rubrica si è deciso quindi di fruire unicamente del settimanale a stampa, aumentando lo spazio a una pagina completa e stampando così tutti i contributi che le comunità fornivano. A partire dal 2015 la cadenza è diventata mensile e un’ultima modifica è avvenuta nel 2017 quando la nuova impostazione grafica ha ridotto leggermente la lunghezza dei testi».

Al di là di questi cambiamenti interni, è il mondo stesso delle chiese a essere mutato: alcune non ci sono più, almeno formalmente, altre si sono unite formando delle “chiese multisede”, altre ancora stanno sperimentando delle collaborazioni territoriali, anche interdenominazionali. Quale messaggio possiamo trarre dalle “storie” raccontate dalle comunità in questi due lustri? «Anzitutto ci parlano delle coraggiose scelte fatte dai nostri antenati per vivere la loro fede e contribuire al miglioramento della società in cui operavano, spesso in un ambiente ostile e discriminatorio. La maggior parte delle comunità è oggi fortemente ispirata da quelle scelte e si impegna per portarne avanti la testimonianza, sebbene in molte situazioni lo spopolamento abbia drasticamente modificato il tessuto sociale con conseguenze dirette sulla vita della comunità. Ciononostante, nella maggior parte dei casi si notano segni di resilienza e di attaccamento alla propria missione. Fin dagli anni ’80 del secolo scorso molte chiese hanno inoltre potenziato la loro capacità di accoglienza verso persone da altri paesi, spesso evangeliche, e oggi numerose comunità contano tra i loro membri una pluralità di provenienze proponendo un modello di società accogliente. Un altro aspetto è il crescente interesse per le relazioni con le altre fedi, che spesso porta al consolidamento di azioni sociali comuni rivolte alle fasce più deboli, già al centro dei numerosi e vari impegni della diaconia. 

Questi ultimi tre anni condizionati dalla pandemia hanno richiesto molta elasticità e fantasia anche solo per portare avanti le normali attività ecclesiastiche. Tuttavia, nell’insieme le comunità hanno reagito con capacità e perseveranza e questo può darci fiducia anche per gli anni a venire».

 

Foto: Daniele Vola