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Giorgio Perlasca. L’uomo che sconfisse l’indifferenza

Il 31 gennaio del 1910 nasceva a Como Giorgio Perlasca, l’uomo che nell’inverno tra il 1944 e il 1945 riuscì a sottrarre alla deportazione nei lager nazisti migliaia di ungheresi di religione ebraica, fingendosi un Console spagnolo. Quella di Giorgio Perlasca, dunque, è la straordinaria vicenda di un uomo che, pressoché da solo, nel rigido inverno di Budapest riuscì a salvare dallo sterminio nazista migliaia di donne e uomini e famiglie ungheresi.

«Grazie a un documento che portava con sé, che attestava la partecipazione alla guerra civile spagnola e che gli garantiva assistenza diplomatica, ottenne dall’ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnolo, intitolati all’inesistente “Jorge Perlasca”. Tra le mansioni affidategli, fu impegnato con l’ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati in apposite “case protette” soggette all’extraterritorialità per la copertura diplomatica, dietro il rilascio di salvacondotti gratuiti. 

Quando, nel novembre 1944 Briz decise di lasciare Budapest e l’Ungheria, per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise invece di restare e di «spacciarsi per il sostituto del console partente, all’insaputa dello stesso e della Spagna, redigendo di suo pugno la nomina a diplomatico, con timbri e carta intestata».

Riuscito a rientrare in Italia – informa wikipedia – nell’agosto 1945 in Italia via Istanbul, «redasse e inviò un primo promemoria per evitare eventuali imputazioni dal governo spagnolo e poi un memoriale in tre copie sulle attività svolte, che consegnò all’ambasciata spagnola e al governo italiano, tenendo una copia per sé […]. Non raccontò la propria vicenda né alla famiglia né alla stampa e si rivolse piuttosto a chi reputava essere il corretto destinatario diplomatico e statale del suo memoriale. […] Soltanto nel 1961 sul Resto del Carlino del 12 giugno apparve un primo articolo di Giuseppe Cerato che raccontava la sua vicenda, che non riscosse grande risonanza; stessa sorte ebbe un articolo alla fine degli anni 1960 su La Stampa, firmato daFurio Colombo».

Nel 1987 alcune donne ebree ungheresi residenti in Israele rintracciarono finalmente Perlasca (reputato da molti un cittadino spagnolo di nome Jorge, vista l’identità che aveva assunto) e divulgarono la sua storia di coraggio e solidarietà.

Ancora in vita, Perlasca ricevette per la sua opera numerose medaglie e riconoscimenti. 

Il 23 settembre 1989 fu insignito da Israele del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Al museo Yad Vashem di Gerusalemme, nel vialetto dietro al memoriale dei bambini è stato piantato un albero a lui intitolato. Anche a Budapest, nel cortile della sinagoga, il nome di Perlasca appare in una lapide che riporta l’elenco dei Giusti.

La vicenda acquisì notorietà anche in patria, grazie ai giornalisti Enrico Deaglio (che scrisse su di lui il libro La banalità del bene) e Giovanni Minoliche accettò la proposta di Deaglio di realizzare un’inchiesta su Perlasca, dedicandogli ampio spazio nella trasmissione televisiva Mixer. 

Nell’ottobre 1991 fu insignito dal governo italiano dell’onorificenza di Grande Ufficiale e nel dicembre 1991 il Senato approvò un vitalizio annuo, che Perlasca, risulta, rifiutò.

Morì a Padova nell’agosto del 1992 all’età di 82 anni, per un attacco di cuore. Ed è sepolto a Maserà di Padova.

Israele gli ha dedicato una foresta nella quale sono stati piantati 10.000 alberi a simboleggiare le vite degli ebrei da lui salvati in Ungheria. In Italia, su iniziativa del figlio Franco, è stata istituita la Fondazione Giorgio Perlasca.

Molte scuole e vie gli sono state dedicate.

Nel 1997 è stato pubblicato da Il Mulino il suo memoriale, con il titolo L’impostore.

Giovanni Minoli ha riassunto la vicenda di Perlasca così: «Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto. […] È stato anche faticoso farglielo raccontare, non si era mai sentito preso sul serio, aveva interiorizzato la tragedia, era troppo grossa da raccontare l’impresa, un po’ come dire “ho visto i marziani”, e lui li aveva visti davvero. […] La sensazione è che l’enormità dell’azione ha vissuto con la sua progressiva ritrosia a raccontarla perché erano troppo forti i silenzi culturali e politici, e questo insieme di cose l’ha fatto andare sotto traccia. Con Perlasca il conto non tornava: un ex fascista era stato un eroe vero nella salvezza degli ebrei».

Se non fosse stato per alcune donne ebree ungheresi da lui salvate in quel terribile inverno di Budapest, la sua storia non sarebbe mai emersa. 

Queste donne, a fine degli anni ’80 misero sul giornale della Comunità ebraica di Budapest un avviso di ricerca di un diplomatico spagnolo, Jorge Perlasca, che aveva salvato loro e tanti altri correligionari durante quei mesi terribili della persecuzione nazista a Budapest e alla fine della ricerca ritrovarono un italiano di nome Giorgio Perlasca.

«La storia di Giorgio Perlasca – si legge ancora sul sito della fondazione a lui dedicato – dimostra come per ogni individuo è sempre possibile fare delle scelte alternative anche nelle situazioni peggiori, in cui l’assassinio è legge di stato e il genocidio parte di un progetto politico».