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La crisi della forma-libro

L’importante discussione che si è aperta su Riforma, a proposito delle prospettive future cui sta andando incontro il mondo dei libri e della lettura, mi pare che delinei uno scenario problematico, e non facile da decifrare. A un’evidente crisi dell’editoria religiosa e non solo, ben sottolineata da Samuele Bernardini (Riforma, n. 44), si deve giustamente rispondere con il «coraggio di andare controcorrente», riproponendo l’imprescindibile, duro lavoro di misurarsi con la complessità dei testi (Elena Bein RiccoRiforma, n. 46), e riscoprendo il grande piacere della lettura individuale e comunitaria (Paola SchellenbaumRiforma, n. 45).

Condivido totalmente queste riflessioni e questi suggerimenti, che portano pure me a vivere con «sobrio entusiasmo» (secondo la bella espressione di Paola Schellenbaum – Riforma n. 45) i tempi in ogni caso difficili che affliggono le pratiche di lettura. Ma perché difficili? Non solo perché aumentano via via le aree dei lettori deboli e dei non-lettori, malgrado confortanti segnali di resistenza da parte di un non trascurabile territorio di lettori forti. Non solo perché ci si sta allontanando dal faticoso, sublime piacere di interrogare, decifrare i testi, invece di limitarsi a scorrerli, ad assorbirli velocemente. Non solo perché l’etica e la pratica della lettura faticano a imporsi come compito primario della nostra società. Dietro, prima, a monte di tutte queste aree problematiche, si sta delineando infatti, almeno a mio parere, una crisi originaria, basilare, che ha a che fare proprio con la forma-libro.

Con la fine del Novecento, temo, e da allora in modo sempre più accentuato, ha cominciato a indebolirsi, a disgregarsi un paradigma fondante, un codice originario, che ha retto la nostra civiltà per secoli, per non dire millenni. E cioè l’idea che il libro, con tutto quello che gli sta intorno – la scrittura, il testo, la lettura, la pubblicazione, la traduzione, la decifrazione… – costituisse non semplicemente un oggetto culturale fra altri, ma una forma primaria del sapere, capace di racchiudere in sé tutti gli altri saperi e di portarli a compimento. L’idea alla base di questo paradigma era che la forma-libro (e quindi la forma-biblioteca come insieme di tutti i libri) fosse in grado di descrivere l’universo nella sua interezza e di dischiuderne il senso primo e ultimo.

Di più. La convinzione era che il libro potesse essere inteso come una metafora del mondo stesso. Ovvero che il mondo – metaforicamente – potesse essere letto, compreso nel suo significato ultimo, come un grande “libro” da decifrare senza posa. L’idea ebraica che la Torah precede la creazione, e l’esistenza del mondo stesso, va appunto in questa direzione. L’idea che Dio abbia parlato, e che la sua Parola possa essere custodita (ma non imprigionata!) in una Bibbia, in un Libro dei Libri, da ascoltare, interrogare, discutere insieme e in solitudine, ininterrottamente, fino alla fine del tempo presente, conferma un simile presupposto, e dà origine al mito, al sogno, all’ideale di una corrispondenza abissale, profonda, piena fra libro e mondo. Dove però il libro prevale sul mondo, perché è solo attraverso la parola custodita nel libro che il mondo disvela (può cominciare a disvelare) il suo senso ultimo. Da qui anche la creazione di “opere-mondo” (l’Iliade, la Divina Commedia, la Ricerca del tempo perduto…), in cui un autore racconta “tutto”, ma un “tutto” talmente totalizzante che noi continuiamo a interrogarlo senza posa, nei secoli.

Ebbene, è proprio questa idea, o questo mito se vogliamo, del libro-mondo, della forma-libro come forma del mondo, a essere entrata profondamente in crisi. Non perché il libro sia destinato a scomparire, ma perché accanto alla forma-libro, si sono via via imposte altre modalità del sapere che privilegiano in modo massivo l’universo delle immagini, la comunicazione virtuale, il coinvolgimento immediato ed emotivo di chi fruisce del sapere. Questo significa che, certo, si pubblicano e si leggono ancora tanti libri, ma si fatica sempre più a interrogarli a fondo, o si è sempre meno disposti a considerarli la fonte primaria del proprio sapere. Di qui lo scenario incerto e in chiaroscuro che abbiamo di fronte quando ci occupiamo dei libri e della loro sorte. Possiamo allora fare a meno del libro, della forma-libro? No, evidentemente, ma dovremo trovare altre strategie, altre modalità perché essa continui a vivere, a convivere in modo fecondo con le nuove forme del sapere che stanno emergendo, che si stanno imponendo.