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«Le persone di buona volontà si impegnino sul confine polacco-bielorusso»

Dopo la riformata e la luterana anche la Chiesa metodista polacca ha reso noto un appello relativo alla crisi al confine polacco-bielorusso.
 
«Agendo a nome della Conferenza annuale della Chiesa evangelico-metodista nella Repubblica di Polonia tenutasi a Varsavia il 28-31 ottobre 2021 – si legge – in relazione alla situazione al confine polacco-bielorusso e nell’area sotto stato di emergenza, come organo esecutivo della nostra Assemblea sinodale, chiediamo con un appello ai compagni di fede, così come a tutte le persone di buona volontà, di rimanere nella preghiera comune per superare la crisi che è sorta e di offrire l’aiuto necessario a chi è nel bisogno, nello spirito dell’insegnamento del nostro maestro Gesù Cristo.
 
Come cristiani e cittadini della Repubblica di Polonia, siamo ben lungi dal rientrare nelle competenze degli organi statali responsabili della protezione della popolazione polacca e dei nostri confini. Tuttavia, ci sentiamo responsabili del bene comune, che è la nostra patria e il mondo intero, quindi non possiamo tacere quando vediamo come parte del nostro Paese è diventato luogo di una crisi umanitaria che colpisce uomini, donne e bambini, compresi i malati e i feriti.
 
In linea con l’insegnamento sociale della nostra Chiesa consideriamo tutte le persone come parte della famiglia di Dio. Pertanto, come cristiani e cristiane per i quali la Parola di Dio è il fattore determinante della vita, non possiamo voltare le spalle a coloro che hanno bisogno di aiuto.
 
La Chiesa evangelico-metodista nella Repubblica di Polonia, fedele al Vangelo e all’amore fraterno che ne scaturisce, chiede ai membri e sostenitori, nonché a tutte le persone di buona volontà di impegnarsi in iniziative a sostegno delle vittime della crisi umanitaria sul polacchi e di pregare per coloro che hanno il dovere di garantire la sicurezza e la pace nella nostra patria».
 

Intanto continuano i tentativi di ingresso nell’Unione europea da parte delle persone accalcate attorno al confine bielorusso, in un centro di emergenza che accoglie circa duemila persone, nel gelo sempre più insopportabile della regione e della stagione. E continuano le chiusure muscolari della Polonia e dell’Europa.

 

Nel mentre un secondo gruppo di cittadini iracheni è tornato nel nord dell’Iraq su due voli dopo aver trascorso settimane o mesi nel tentativo di raggiungere l’Unione europea. Diversi hanno affermato di aver subito abusi da parte delle autorità bielorusse. Almeno 570 iracheni, compresi i bambini, sono stati riportati dalla Bielorussia alla città di Erbil nel Kurdistan iracheno venerdì 26 novembre, con due voli. Il primo, che trasportava oltre 170 persone, è atterrato all’aeroporto della capitale della regione semi-autonoma a gestione curda dell’Iraq dopo le 2 del mattino. Il secondo volo, che trasportava oltre 400 rimpatriati, è arrivato alle 7 del mattino.

Uno dei rimpatriati all’aeroporto di Erbil si è detto «molto grato di essere arrivato a casa, perché l’umanità e la giustizia che la gente dice essere dell’Europa sono lontane dalla realtà. Non è affatto vero. Siamo stati picchiati duramente». Ci sono state numerose segnalazioni di maltrattamenti da parte delle autorità di frontiera bielorusse.

Già la scorsa settimana, 430 iracheni sono tornati a casa da Minsk. La maggior parte dei cittadini iracheni rimpatriati si identifica come curdi iracheni.