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Il coraggio di andare controcorrente

 

Non si può affrontare il tema complicato della crisi dell’editoria religiosa e non religiosa, se non partendo da una domanda ancora più complicata: in che epoca storica viviamo? La prima risposta – non certo confortante – è che il nostro è un tempo difficile, in cui tutto appare sotto il segno dell’instabilità e della precarietà, caratterizzato com’è da una grave emergenza economica, sociale, ambientale, cui si aggiungono gli effetti dirompenti della pandemia, che lo rendono incerto e imprevedibile nei suoi sviluppi, tanto è vero che l’idea del futuro ha perso ormai la sua carica ottimistica di scommessa e di speranza per assumere i contorni del rischio e della minaccia.

Non è un caso che molti interpreti della nostra contemporaneità, per delineare il passaggio d’epoca che stiamo attraversando, ricorrano all’immagine gramsciana dell’“interregno”, quando “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Di fronte a questo scenario mutato, le vecchie categorie di analisi di mostrano spesso inadeguate, così che la realtà nella quale siamo immersi ci appare sempre meno comprensibile, e sembra non offrici più dei punti di riferimento certi e delle bussole orientative. Di qui un senso crescente di inquietudine, di ansia e di paura, che ben si riflette nella domanda simbolo di quest’epoca dell’incertezza: dove stiamo andando?

Purtroppo, la risposta reattiva al senso di smarrimento è molto spesso una risposta sbagliata: invece di affrontare la sfida, pur molto ardua, di misurarsi con la complessità, di ricercare un nuovo linguaggio per far parlare i fenomeni contradditori del presente e per suggerire possibili direzioni di senso con cui orientare gli scopi dell’esistenza individuale e collettiva, ora pare farsi strada la tentazione opposta di sottrarsi alla responsabilità di decifrare i “segni dei tempi”, e di svolgere un ruolo attivo nella storia in vista della costruzione di un futuro migliore. Se è vero che l’illusione delle grandi sintesi è ormai svanita, e siamo sempre meno in grado di «apprendere il nostro tempo con il pensiero», secondo la rassicurante affermazione di Hegel, è pur certo che questo non ci esonera dall’impegno irrinunciabile di tentare di capire il mondo, in linea con quell’esortazione kantiana che nulla ha perso della sua attualità: «Osa sapere! Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza», uscendo da quella condizione di “minorità” propria di chi delega ad altri il compito di pensare.

Questa esortazione è oggi molto disattesa. Assistiamo, infatti, a una sorta di fuga dall’esercizio critico del pensiero, dall’uso del tempo lento del porsi domande, del ragionare e del riflettere, proprio perché la nostra è l’epoca della fretta e della semplificazione, in cui si cerca di evitare la fatica della lettura e dello studio, e si preferisce spesso percorrere la scorciatoia di affidarsi al flusso ininterrotto di dati e di informazioni che si trovano in Internet, scambiando in modo illusorio il facile accesso alle informazioni con il possesso del sapere, che esige invece la capacità di rielaborare concettualmente e di interpretare quanto si apprende. Non solo, ma quando si diventa meno capaci di pensare in maniera critica, si perde anche la capacità di discutere con gli altri in un dibattito pubblico ragionato, e vien meno l’impegno e la voglia di confrontarsi con punti di vista diversi dai propri. Ne è una riprova la tendenza sempre più marcata, sia nella vita reale sia nella rete, di isolarsi in rassicuranti nicchie di appartenenza, in comunità di simili, in cui ciascuno comunica soltanto con coloro che già la pensano al suo stesso modo, così che si crea, secondo la suggestiva metafora di Zygmunt Bauman, una sorta di “camera d’eco”, in cui l’unica voce è l’eco della propria.

Ma se tutti vanno alla ricerca di ciò che li conferma nelle loro convinzioni, in quello che già sanno o credono di sapere, senza ascoltare le ragioni di chi sostiene opinioni differenti, allora scompare ogni possibilità di dialogo e di scambio, e lo spazio pubblico si polarizza in tante comunità “tribali”, incomunicanti e autoreferenziali, contrapposte le une alle altre. Come resistere all’aria del tempo? Ne siamo tutti condizionati: anche noi protestanti, come ben ci spiega S. Bernardini, «leggiamo poco e sempre meno: di Bibbia, teologia, spiritualità».

Mi sembra, innanzitutto, che occorra il coraggio di andare controcorrente. Come cittadini che hanno a cuore le sorti della democrazia, dovremmo batterci per una scuola di qualità per tutti, capace di dare agli studenti quello che fuori non c’è: il gusto della conquista di obiettivi culturali alti, la capacità di maneggiare concetti e non solo protesi elettroniche, la passione del confronto dialettico (come si diceva una volta…) in cui ciascuno argomenta le proprie tesi ma le sottopone al vaglio critico del giudizio altrui; una scuola che si prende cura dell’organizzazione logica dei pensieri e delle parole, contrastando quel linguaggio banalizzato e impoverito che è presente nel chiacchiericcio dei social, dove tutto è effimero, senza spessore e senza durata, a dimostrazione di quanto sia fondata l’affermazione di Ionesco secondo cui «solo le parole contano, il resto sono chiacchiere»…

E, in parallelo, come credenti chiamati a sentirci responsabili di come va il mondo, dovremmo fare delle nostre chiese delle vere e proprie “agenzie di pensiero”, dove rilanciare, come giustamente suggerisce Paola Schellenbaum, «l’amore per la lettura che fa dei libri il perno dell’educazione lungo tutto il ciclo di vita», e dove riscoprire quello che è sempre stato un nostro tratto caratteristico, l’impegno ermeneutico di misurarsi con la complessità del testo biblico, la cui interpretazione non è un esercizio solitario, ma si svolge nell’ambito di una comunità di fede nella quale la riflessione teologica di tutti e di ciascuno è arricchita dallo scambio reciproco e dal confronto con la pluralità di interpretazioni che si sono susseguite nel corso della storia. E qui viene in primo piano il compito vocazionale della editrice Claudiana, che forse non è mai stato così importante come nel nostro tempo, quello di offrire suggestioni per dare sostanza di pensiero alla nostra fede, di fornire strumenti di analisi per comprendere il senso di ciò che accade, e di far circolare idee da mettere a confronto con altre culture e con altri modi di rappresentarsi il mondo.