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Donne. Verranno ascoltate le nostre voci profetiche?

«È francamente, a volte, un fardello pesante dover essere leader religiose e mediatrici di pace», ha affermato Azza Karam, segretaria generale di Religions for Peace.

«Le donne sono un modello di inclusione – ha affermato Karam –. Dunque è importante poter essere presenti a ogni tavolo di pace. L’unico modo per poter rappresentare l’ampia varietà di interessi, non solo femminili». Karam, insieme ad altre colleghe, si son date appuntamento in occasione di un forum online intitolato «Fede in cammino: donne mediatrici di pace e di conflitti nelle aree di crisi».

Un’iniziativa co-organizzata dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), da Religions for peace e dalla Federazione Luterana Mondiale. Evento, come ricordato, tenutosi anche questo parallelamente alla 65a Commissione sulla condizione delle donne.

La dottoressa Nayla Tabbara, co-fondatrice di Adyan, ha ricordato le attività della Fondazione, dedicate alla diversità «per indicare alle persone come poter vivere pacificamente in comunità diverse tra loro».

Tabbara è anche la co-presidente di Religions for Peace in Libano. «Viviamo in un contesto post-bellico ma da sempre siamo un contesto pre-bellico», ha detto. «Ciò su cui principalmente lavoriamo è dare la possibilità  alle persone di comprendere il passato, capirlo, interiorizzarlo –  ri-conoscerlo – per ripartire. Il solo modo per superare le ostilità e conoscere il dolore, l’uno dell’altro. Incontrarsi, e farlo soprattutto tra persone appartenenti a fazioni diverse, religioni diverse».

La dottoressa Sehin Teferra, fondatrice di Setaweet, un movimento femminista etiope, ha raccontato il suo paese. «In Etiopia ciascuna delle parti in conflitto utilizza lo stupro come arma di guerra. Sta accadendo ora, mentre parliamo», ha denunciato Teferra.

«Quello che possiamo fare è offrire un’analisi di genere basata sui fatti, su ciò che accade. Una responsabilità imputabile anche alle comunità di fede, che non possono chiamarsi fuori da queste dinamiche».

Atteggiamenti e azioni deplorevoli che «dovrebbero mettere tutti a disagio e molto», ha affermato Amanda Khozi Mukwashi, Ceo di Christian Aid.

«Quando l’identità prende il sopravvento sull’umanità e sulla fede e sui nostri valori cristiani, diventa un’identità tossica» ha proseguito, «se le donne non vengono ascoltate addirittura all’interno delle loro comunità religiose, se non possono sedersi al tavolo dei processi decisionali, diventa davvero difficile poter portare la pace e la sicurezza nel mondo, anche di genere».

Ranjita Christie Borgoary, al vertice delle questioni di genere per le Chiese evangeliche luterane unite in India ha rimarcato: «Abbiamo bisogno di leader che agiscano per la giustizia, non solo con i discorsi, ma con l’azione, vera. Abbiamo tante donne pastore e alle quali vengono spesso negate delle opportunità. E questo, a causa di un sistema strutturato in modo patriarcale. Queste donne stanno lottando per raggiungere posizioni di guida nelle loro comunità di fede».

Per le giovani donne la lotta è ancora più difficile ha ricordato Mira Neaimeh, dirigente regionale della World Student Christian Federation-Middle East. «Siamo uguali davanti alla fede, ai doveri, nel servizio al Signore. Siamo cristiane. Siamo una voce profetica ovunque, dunque?».

Isaiah Toroitich, a capo del Global Advocacy per la Federazione luterana mondiale (Flm), moderando l’incontro ha detto: «Grazie per essere state voci profetiche per noi oggi».

Photo by Marcelo Schneider