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Attraverso un vetro smerigliato

Si ha l’impressione che la pandemia virale in corso provochi un certo distacco dell’opinione pubblica da inaffidabili modelli di interpretazione della realtà che le mentalità diffusesi negli ultimi decenni sembravano favorire in modo incontrastabile. Parrebbero arretrare gli atteggiamenti di programmatica sfiducia nella scienza, la diffusione di stravaganti dottrine complottistiche, il dilagare di visioni generanti comportamenti improntati all’egoismo sociale, sebbene permangano segni di forti resistenze. Non sappiamo quanto questa tendenza sia profonda né quali effetti duraturi produrrà, ma potrebbe rivelarsi abbastanza utile nella gestione della crisi che si preannuncia tutt’altro che breve e semplice. Ciò nonostante, non si può evitare di continuare a preoccuparsi per il permanere, non solo nell’opinione pubblica ma addirittura a livello politico e governativo, di vecchie concezioni fuorvianti di che cosa sia la scienza. 

Per esempio, circola l’idea che sia lecito attendersi dalla scienza previsioni esatte e precise di ciò che avverrà, in maniera da poter programmare, a zero rischi, le varie fasi dell’uscita dalla crisi, cioè del riavvio dell’intero apparato economico di produzione di beni e di fornitura di servizi. Si immagina, in pratica, che gli scienziati siano dotati di sfere di cristallo che consentano di accedere a esatte letture della realtà in grado di liberare i decisori politici da ogni responsabilità di decisione. Basterebbe, dunque, formulare le domande per ottenere le risposte. L’opinione pubblica sembra spazientirsi, spinta anche da certa propaganda, rilevando un grado di indecisione, da parte delle Istituzioni, che considera ingiustificabile.

Questo misunderstanding costituisce un ostacolo al migliore uso sociale possibile dei benefici delle scienze, perché non tiene conto della globale dimensione politica dell’attività scientifica. Gran parte dell’opinione pubblica, prigioniera di concezioni erronee di che cosa siano le scienze, si attende da esse risultati magici; inoltre ignora che non esistono forme di conoscenza della realtà indipendenti dai soggetti conoscenti o, almeno, che l’umanità ne è esclusa. In Italia, la situazione è aggravata dal perdurare di inconsapevoli residui della filosofia crociana in buona parte degli intellettuali di estrazione umanistica, che considerano le scienze del tutto prive di storia e, pertanto, per definizione estranee alla sfera della cultura. Per avere un piccolo ma significativo esempio di ciò che intendo dire, si provi a esaminare le programmazioni dei Centri culturali protestanti in Italia degli ultimi decenni. Ne emerge, con evidenza, una penuria sconcertante di temi di interesse scientifico.

Possiamo cogliere nella pratica un effetto dell’incomprensione della natura della scienza, considerando una domanda ricorrente in questi giorni: perché non si riesce a capire il motivo per cui i dati della pandemia sembrano migliorare più lentamente in Lombardia, regione colpita dal morbo in modo così duro a causa del suo modello socio-economico che comporta flussi imponenti e rapidissimi, rispetto ad altre regioni italiane, pur investite gravemente dalla diffusione del virus? Soprattutto perché gli scienziati non sembrano in grado di spiegarlo ora, che sarebbe così drammaticamente importante saperlo? Nonostante siano disponibili supercomputer capaci di elaborare decine di milioni di miliardi di operazioni matematiche al secondo, non è possibile elaborare modelli sufficientemente precisi per descrivere l’andamento del contagio in Lombardia in “maniera scientifica”, locuzione che cercheremo di specificare meglio in un prossimo articolo. Per indagare a fondo qualsiasi fenomeno complesso, infatti, non bastano grandi capacità di elaborazione dei dati, ma occorrono corretti e stabili protocolli per la loro raccolta, giorno per giorno sul territorio, e per la loro pubblica distribuzione in formati universalmente compatibili. Capiamo quindi che non solo la scienza può avere influenza sulla politica, ma anche che la politica ne ha sulla scienza, al di là della banale considerazione della destinazione dei fondi per la ricerca.

Da decenni si temeva l’arrivo inesorabile di nuove pandemie virali, ma poco si è fatto per dotarsi in tempo di mezzi e metodi standard per raccogliere dati in maniera pronta e fitta, con criteri noti, uniformi e stabili nel tempo di osservazione; ciò non si improvvisa e dipende da come si è presidiato il territorio e da come si sono definiti i protocolli. Se i dati del comportamento del morbo non sono raccolti e processati con criteri corretti, la rappresentazione possibile della situazione evolutiva del fenomeno non sarà mai sufficiente a garantire predizioni sull’evoluzione futura del contagio capaci di fornire al decisore politico informazioni vitali; una qualità di previsione a priori possibile che si riveli scarsa potrebbe comportare centinaia o migliaia di morti in più al livello di una sola regione italiana. Altro che previsioni esatte e precise; gli scienziati sono limitati a osservare il paesaggio come attraverso un vetro smerigliato, a causa di decisioni politiche prese, o non prese, in passato.

Un’opinione pubblica informata avrebbe potuto spingere i governanti a fare le scelte che era possibile fare per dotare la comunità scientifica dei mezzi migliori, in tema di medicina territoriale e di definizione dei protocolli per la raccolta dei dati, per consigliare, al momento giusto, i decisori politici su come proteggere al meglio le popolazioni. Un circolo che poteva risultare virtuoso si è dimostrato vizioso.

Molto resterebbe da dire, anche a livello epistemologico, sullo sviluppo delle scienze che si dimostra avanzatissimo nelle capacità di indagare i principi primi della realtà a livello microfisico, meno nello studio della complessità dei fenomeni del mondo macroscopico, come per esempio una pandemia virale, mediante l’applicazione di metodologie multidisciplinari.