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“Iddu”, e l’uomo torna piccolo di fronte al Creato

Una vecchia coppia di strombolani incontrati sull’aliscafo racconta di essere emigrata per quindici anni in Australia e dice: «non c’è niente da fare, bisogna ritornare dove si è nati». Stromboli ha poche case sul fianco del vulcano più attivo d’Italia, l’acqua è portata dalla nave ogni settimana, prima dell’arrivo dei turisti si sopravviveva partendo.

Ma poi, quello che era iniziato come un normale pomeriggio di mare viene sconvolto dall’urlo di Iddu, cioè “Lui” come viene chiamato qui il vulcano: un boato, il suono delle rocce che si spaccano e la potenza in grado di lanciare a oltre due chilometri di altezza lapilli e ceneri infuocate. All’improvviso si passa dalla sdraio alle corse disperate dei bagnanti colti sulla spiaggia dall’eruzione, madri che richiamano i figli e scappano non si sa dove, le alternative sono due: o la montagna o il mare. Il molo sembra l’unica salvezza. La ricerca di una barca o un traghetto per sfuggire alla morte. Forse in molti in quel momento hanno compreso altri imbarchi disperati.

Quando mi sono trovato in costume da bagno davanti alla montagna che si spaccava con un urlo agghiacciante ho avuto chiaro che mi trovavo nudo e impotente di fronte alla Natura, chiamiamola Ecosistema, Creato o come più ci aggrada. La fine di tutto era lì, a poche centinaia di metri da me. Non si poteva prorogare rimandandola a un prossimo summit. Ero fisicamente e metaforicamente spogliato della prepotenza e presunzione che ha l’essere umano di dominare la Natura illudendosi di dettarne l’agenda. Nulla si poteva fare se non scappare.

Sono trascorsi quattordici anni da quando un gruppo di credenti e intellettuali scrisse un documento che si intitolava Il tempo è scaduto: la prima emergenza era ribadire Il primato degli interessi di tutti gli esseri viventi sulle priorità economiche di crescita ed espansione. L’anno scorso è nato nel Nord Europa un movimento ecologista radicale che ha come simbolo una clessidra iscritta in un cerchio a significare che per il nostro pianeta il tempo sta finendo. Nonostante tutto questo e altro, le azioni concrete per frenare la corsa all’autodistruzione ambientale non arrivano.

Stromboli è un paradiso terrestre, un giardino dell’Eden con la sua vegetazione ricca e lussureggiante, il mare limpido e le spiagge nere e affascinanti. Ma non è nostra, non possiamo piegarla ai nostri interessi, possiamo solo (?) condividerla con il resto del Creato. Impotente di fronte all’eruzione, ma non rassegnato, mi sono venute in mente due situazioni in cui nel racconto biblico, l’umanità si è trovata a un passo dalla distruzione per mano di Dio. Due momenti in cui l’uomo è riuscito a far cambiare le decisioni del Signore senza nome degli Ebrei. Significa qualcosa che gli stromboliani non abbiano messo un nome a Iddu?

In Genesi c’è scritto «Così l’Eterno disse: “Io sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato, dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli del cielo, perché mi pento di averli fatti”. Ma Noè trovò grazia agli occhi dell’Eterno». E nel racconto dell’Esodo il “faccia a faccia” tra Dio e Mosè che riesce a salvare il popolo d’Israele reo di idolatria: «Perché, o Eterno, dovrebbe la tua ira accendersi contro il tuo popolo?… Desisti dalla tua ira ardente e cambia la tua intenzione di far del male al tuo popolo» (Esodo 32). Due occasioni in cui il Signore ha salvato l’umanità perché degli esseri umani hanno operato in favore dei loro simili e del Creato. 

La settimana scorsa a Stromboli il vento spirava da Nord e ha allontanato i lapilli e gli incendi dal centro abitato. Solo poche case a Ginostra sono state colpite. L’eruzione è avvenuta un’ora prima della partenza giornaliera di centinaia di escursionisti verso la cima del Vulcano che avrebbero trovato morte sicura. Anche se la colonna di cenere e lapilli che incombe su di noi è alta duemila metri e noi siamo bassi solo una spanna, non dobbiamo restare inermi, ma avere la forza di parlare e di agire perché il Signore l’allontani con un soffio di vento.