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Oggi prepareremo… la “zuppa per le capre”

Tutti i bambini si mettono all’opera: scelgono i barattoli, ci versano dentro gli ingredienti, preparano le etichette per distinguere tra le zuppe di fagioli gluten free e le “zuppe dell’amicizia” (friendship soup), composte da legumi, cereali, riso e/o pasta, piante aromatiche. Qualcuno si occupa della pubblicità, preparando cartelloni colorati; qualcun altro farà gli annunci durante il culto, nel momento dedicato alla scuola domenicale, in cui di solito si racconta la lezione fatta, o si coinvolge la comunità in un canto, un gioco o in una scenetta. Questa volta sarà diverso: per alcune settimane i piccoli della comunità promuoveranno il progetto della “zuppa per le capre”, e quando sarà il momento di venderla, nessuno potrà cadere dalle nuvole!

Siamo nella Heritage Presbyterian Church di Glendale, pochi km da Phoenix (Arizona), dove i bambini della scuola domenicale, dai 5 ai 14 anni, si sono impegnati in un progetto di raccolta fondi per sostenere l’azione missionaria internazionale della Chiesa presbiteriana (PcUsa), e poter donare una coppia di capre, alcuni polli, un maialino e sei pacchi alimentari ai rifugiati. La loro iniziativa ha fruttato 533 dollari, al di là di ogni aspettativa, cui i piccoli hanno aggiunto i loro doni personali.

Ma perché “zuppa per le capre”? La monitrice che ha guidato i bambini in questo lavoro (raccontato sul blog della PcUsa) ha spiegato che questo animale ha suscitato l’entusiasmo in tutti i bambini, ma in particolare nella metà della classe composta da rifugiati della Repubblica democratica del Congo, dal momento che questo animale faceva parte della loro esperienza di vita prima dell’arrivo negli Usa.

Questo progetto ha unito i bambini, hanno osservato le educatrici, colmando le differenze di provenienza e di età: si sono stretti intorno a un obiettivo comune, sfidante, in cui ognuno ha avuto il suo ruolo. I più grandi hanno assunto ruoli di leader nella gestione dei fondi e della pubblicità, e ognuno si è impegnato a fondo nel suo compito, aiutando gli altri.

Il superamento delle frontiere e delle barriere linguistiche e culturali è quello che si sta sperimentando anche tra gli adulti della comunità, che sta infatti vivendo un intenso percorso interculturale insieme alle famiglie di rifugiati che ne sono entrate a fare parte. Sono passati alcuni anni da quando un pastore di origine congolese, che aveva ottenuto asilo politico negli Usa alcuni anni prima, segnalò alla pastora della Heritage una famiglia presbiteriana (lui apparteneva a un’altra denominazione) del suo paese che avrebbe voluto frequentare una comunità presbiteriana. Accompagnata da un anziano della chiesa, portando un cesto pieno di cibi, la pastora si era recata in visita alla famiglia, che poi era diventata parte della comunità, coinvolgendo in seguito altre famiglie, alcune provenienti dal Rwanda. Oggi il culto è trasmesso in cuffia in kinyarwanda, la lingua parlata dalla maggiore parte degli adulti, grazie a un interprete, per permettere loro di vivere pienamente ogni momento. Tra i bambini, naturalmente, non c’è bisogno di interprete…