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Dell’aldilà e dall’aldilà

Vi siete mai confrontati a fondo con il Credo antico? Avete mai analizzato a fondo e meditato le parole con cui si conclude? Forse nell’età del catechismo un po’ mi spaventavano: parlare di morte e di risurrezione a una classe di adolescenti non è facile, e probabilmente ho rimosso la spiegazione. Il Credo si conclude con l’affermazione «[Credo]… la remissione dei peccati, la risurrezione dei corpi e la vita eterna», che esprime i contenuti della risposta della fede cristiana alle domande di senso. È un’affermazione conclusiva, escatologica, di vitale importanza per la nostra fede: professare il Credo equivale a far proprie queste parole. Ebbene, Paolo Ricca, professore emerito alla Facoltà valdese di Teologia, nel suo ultimo libro* aiuta il lettore, credente o non credente, addetto ai lavori o profano, ad aprire una riflessione sul significato di quanto professiamo consapevolmente o meno, recitando il Credo. Egli stesso sottolinea come ancora il tema sia poco frequentemente predicato. Ancora oggi, pastori e predicatori locali affrontano il tema dell’avvento del Regno, ma esitano a sviluppare il tema di che cosa possa accadere quando si muore. «Non sembra – scrive Ricca – che la cristianità contemporanea si dedichi molto alla meditazione della vita futura (…). È come se l’aldilà si fosse eclissato e non facesse più parte dell’orizzonte cristiano».

Da quando mi occupo di cure palliative, ritengo che una qualsiasi persona, un medico, un infermiere, un qualsiasi altro operatore, prima di essere in grado di affrontare il discorso della morte, e prima di affrontarlo in pubblico, debba fare una personale riflessione e trovare la propria risposta alla domanda. «Io credo», ci invita ad affermare il Credo. Ma è l’insieme delle affermazioni, in cui «Io credo», che delinea poi la mia identità di credente e di uomo o donna adulti. Infatti, il testo espone un percorso interno e intorno alla fede cristiana, che permette di comprendere meglio e fare proprio il significato dell’affermazione del Credo a partire da tre possibili situazioni. Alla domanda Che cosa succede quando si muore? Ricca risponde attraverso l’analisi di tre situazioni o tesi: la prima è che con la morte tutto finisca definitivamente; la seconda è che tutto finisca solo provvisoriamente (per un tempo più o meno lungo); la terza è che con la morte non tutto finisca, perché c’è nell’uomo qualcosa che non può morire. L’autore le analizza attraverso un itinerario che ha le radici nella filosofia classica, per arrivare fino ai temi della teologia barthiana. E questo percorso è amabile, accessibile a tutti, perché il registro linguistico è didattico: accoglie il lettore, anche profano, lo conduce per mano affrontando le discussioni che ancora dividono il mondo accademico.

Il testo ricostruisce le tesi filosofiche e teologiche che nei secoli hanno appassionato la ricerca dell’uomo (della relazione fra anima e corpo, dell’immortalità dell’anima, del significato del paradiso). Ciascuna delle tre tesi viene infine esaminata più o meno a fondo alla luce della Parola biblica (Sola Scriptura). In particolar modo ho apprezzato l’analisi che l’autore dedica alla terza tesi, che approfondisce il tema della reincarnazione: sebbene tale teoria abbia trovato pochi seguaci nella storia della chiesa, rimanendo per lo più incompatibile con la fede cristiana, afferma Ricca, oggi i cristiani sono sempre più propensi ad accettare per sé la reincarnazione, anche a causa della diffusione delle filosofie orientali e della religiosità induista.

Significativo è lo spazio dato alle posizioni dell’Ortodossia, che alla stessa domanda di senso risponde dettagliatamente, indicando le varie tappe del viaggio ultraterreno dell’anima dopo la sua separazione dal corpo. L’autore ricostruisce le motivazioni bibliche che sono alla base delle diverse tradizioni vigenti nell’Ortodossia, nel solco della posizione dei primi cristiani. Questa è infatti la risposta del Nuovo Testamento alla stessa domanda, che è «unanime» su certi aspetti della questione e «differenziata» su altri. «Unità e diversità sono inseparabili, si completano a vicenda». E i racconti evangelici più antichi riportano l’incredulità e lo stupore da parte dei discepoli per la risurrezione di Gesù che è la risposta cristiana alla nostra domanda di senso. Nonostante questi sentimenti, l’annuncio della morte e della risurrezione di Gesù hanno rappresentato il fondamento del nostro Credo.

Ognuno di noi prima o poi affronta una riflessione personale sul tema della morte. Ricca la condivide con noi, formulando in conclusione una personale confessione di fede, che si conclude con le parole di Karl Barth: [credo che la vita eterna] sia «il mistero già reale di questa vita temporale che è la nostra”, e che sia “alla vita eterna che tutti gli uomini [e le donne] sono destinati». E correda la risposta personale con una collezione di pregevoli immagini, che ritraggono particolari di opere d’arte nazionali ed europee, dal XII secolo ai giorni nostri. Sebbene l’immaginario collettivo sia ormai mutato, sebbene gli aspetti della vita moderna ormai releghino all’esperienza personale e privata l’esperienza della morte, queste immagini ci permettono di specchiarci e di confrontarci sia sul piano della spiritualità sia su quello immaginifico, riportandoci a un confronto che potrebbe essere collettivo.

* P. Ricca, Dell’aldilà e dall’aldilà. Che cosa accade quando si muore? (Torino, Claudiana, 2018, pp. 184, euro 15,00).