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Le due strade della sanità

Da pochi giorni Cittadinanza Attiva – Tribunale per i diritti del malato ha presentato il rapporto I due volti della sanità. Tra sprechi e buone pratiche, la road map per la sostenibilità vista dai cittadini, uno sguardo sul Servizio Sanitario Nazionale che prende in esame 104 condizioni di spreco individuate da cittadini, associazioni ed operatori sanitari fra aprile 2014 e aprile 2015 e che a giugno dello scorso anno risultavano ancora irrisolte. Le buone pratiche segnalate partecipano al premio Andrea Alesini che «è stato inventato più di 10 anni fa in onore di un medico che fu direttore generale di un’Asl di Roma che si è contraddistinto nella sua gestione per aver migliorato i servizi per i cittadini pur non aumentando le spese. La dimostrazione che quando si vuole, si può – dice Alessandro Cossu, portavoce di Cittadinanza Attiva – abbiamo fatto una scelta su servizi che permettono un miglioramento dell’accesso ai cittadini alle strutture sanitarie o servizi innovativi, tra oltre 300 progetti». Le buone pratiche sono importanti per tracciare delle strade realmente percorribili per le amministrazioni sanitarie, ma i casi di mala sanità sono ancora molti, come testimoniano per esempio i 500 giorni di lista di attesa per una visita, riportati oggi da Repubblica.

La sanità italiana ha almeno due velocità e uno dei problemi più grandi sono gli sprechi, giusto?

«Abbiamo notato che quasi un caso su due dipende da cattiva organizzazione del personale o della gestione delle Asl. Il problema dell’adeguatezza dei manager delle Asl alle sfide che si trovano a dover affrontare è un problema che abbiamo segnalato più volte. I direttori generali troppo spesso hanno risposto solamente a delle necessità di tipo politico, rispondendo al presidente di Regione o all’assessore di turno senza tenere conto delle effettive capacità: questo ha avuto una risposta immediata per i servizi sui cittadini, diminuendo la capacità di rispondere alle esigenze e aumentando gli sprechi, perché non si conosce fino in fondo la macchina amministrativa. Un esempio è quello dell’Asl di Vicenza dove il direttore generale ha trovato un enorme buco nella sanità: è stato messo a regime il pagamento di tutti i fornitori entro 30 giorni con una diminuzione del 40% dei costi. Senza intaccare i servizi offerti ai cittadini è migliorata anche la capacità di gestire le liste d’attesa».

Quindi fanno più le capacità di gestione rispetto alla disponibilità di fondi?

«Sì, in moltissimi casi. A parità di risorse, alcune regioni riescono a dare risposte in tempi più stretti, mentre in altre regioni non ci sono gli stessi risultati. La Calabria è una delle regioni che spende di più in prevenzione, ma che ha meno risultati in questo campo. Dunque il centro è saper organizzare bene le cose per saper rispondere alle esigenze.In tutte le regioni ci sono colpe e sacche di inefficienza, anche nella blasonata Lombardia, che ha dispersioni economiche sul territorio».

Quando avviene lo spreco?

«Quando ci sono interessi diversi da quelli legati ai servizi per i cittadini. O per stupidità amministrativa: in provincia di Alessandria, in Piemonte, hanno imbiancato e rimesso a posto una struttura legata a ostetricia e ginecologia, per poi chiuderla dopo due settimane. Prendere delle decisioni in maniera oculata e non ognuno per il proprio conto è un modo vincente per evitare lo spreco».

Le liste di attesa sono un altro problema fondamentale della nostra sanità

«Anche su questo ci sono troppi annunci e pochi fatti. Dai tempi di Balduzzi in poi ci sono 52 prestazioni che entrano nel piano delle liste d’attesa che devono essere garantite entro 30 giorni, ovviamente quasi tutte non lo sono. Non ci sono conseguenze per il fatto che non lo siano, le attese continuano a crescere se diminuiscono i soldi investiti. I cittadini devono aspettare sperando che la malattia nel frattempo non diventi cronica, oppure devono pagarsi il servizio per vie private, se possono permetterselo. Un italiano su 10 rinuncia alle cure per il costo o per l’attesa, che a volte è davvero vergognosa. Se si rinuncia alle cure, successivamente la malattia si aggraverà e peserà ancora di più sul servizio sanitario. La prevenzione è l’unica arma per evitare che il sistema sia poco sostenibile. La questione della sostenibilità spesso è usata come scusa: il servizio sanitario è sostenibile se noi vogliamo renderlo tale. La politica deve interrogarsi sugli investimenti: noi vediamo un disegno di privatizzazione dietro a tutto questo e, fino ad oggi, non siamo stati smentiti dai fatti».

Di cosa c’è bisogno per attuare dei circoli virtuosi?

«Di una maggiore attenzione ai cittadini. Partendo da qui, spesso si riescono a trovare soluzioni molto innovative con un approccio diverso. Per fare un esempio, il Policlinico Casilino di Roma ha realizzato un servizio molto interessante: visto che si trova in un’area con un forte tasso di migranti, ha riportato dentro il servizio sanitario molte famiglie a rischio che non potevano permettersi di curarsi, con servizi di traduzione, approcci particolari per i bambini. Un servizio vincente, adatto all’utenza particolare del luogo: qualcuno si è posto il problema, dunque, di adattare il servizio ai cittadini, e non viceversa».

Come le buone pratiche possono concretamente essere utili per le strutture che ancora arrancano?

«Ci vuole buona volontà e occorre osservare le amministrazioni più virtuose. C’è una buona fetta della pubblica amministrazione che vuole cambiare, ci sono amministratori che vorrebbero imporsi in base alle loro capacità e non in base alle solite raccomandazioni ed è su questa rete che noi puntiamo. Basterebbe guardare questi esempi e capire che sono applicabili in molte occasioni per rendere tutto più efficiente e più efficace».

Foto: DarkoStojanovic CC0 Public Domain via Pixabay