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Museo della Shoah di Roma, ennesima inaugurazione

Il 16 ottobre non è una data come le altre per Roma, in particolare per gli ebrei che vivono nella città eterna. E’ il giorno, correva l’anno 1943, detto il “sabato nero” del ghetto.

Due giorni dopo diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina, destinazione Auschwitz. Di 1024 persone “rastrellate” a casa ne tornarono 16.

Lo scorso 16 ottobre è stato tagliato il nastro del centro per la ricerca della fondazione Museo della Shoah a Casina dei Vallati, un allestimento temporaneo in attesa che inizino finalmente i lavori a villa Torlonia per dare una sede definitiva al museo. Scriviamo finalmente perché a 70 dalla fine della seconda guerra mondiale è per lo meno scandaloso che a Roma, capitale di quell’Italia che un ruolo non secondario ebbe in questo disegno di morte, non esista ancora un luogo del ricordo, la cui realizzazione è stata nel tempo rimpallata fra uffici e istituzioni, ogni volta con progetti nuovi, rilanci, sempre rivelatisi effimeri, e litigi, dimissioni, cambi alla guida.

E tempi che si dilatano all’infinito. Un anno fa la scelta definitiva di quella che fu la residenza di Benito Mussolini sulla Nomentana, anche per l’alto significato simbolico intrinseco.

Sembrava la volta buona, ma un nuovo stallo ha portato alle dimissioni in primavera del presidente della fondazione per il museo della Shoah Leone Paserman, e alla decisione dell’apertura temporanea di Casina dei Vallati. Di cui ieri ha tagliato il nastro il nuovo presidente della fondazione Mario Venezia, augurandosi che sia questo l’ultimo trasloco prima di quello definitivo a villa Torlonia.

In questo modo forse 3 dei 16 sopravvissuti ebrei romani, gli unici ancora in vita a 70 anni di distanza, potranno vedere realizzato il proprio sogno di un luogo della memoria, prima che sia troppo tardi, così come da loro richiesto in una struggente lettera lo scorso anno quando la matassa pareva sul punto di sciogliersi.  

Foto “Villa Torlonia 01304” di Lalupa – Self-published work by Lalupa. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.