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Una chiesa in trasformazione

In rappresentanza dei valdesi del Rio de la Plata è venuto a Torino per la visita di papa Francesco il moderador della Mesa Valdense di Uruguay e Argentina, Oscar Oudri. Il moderador ha portato il saluto delle chiese d’oltreoceano e ha ricordato l’impegno ecumenico, portato avanti “fianco a fianco con il fratello Francesco”, quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires, «per la difesa dei minori, dei giovani e degli anziani, dei popoli originari, delle donne, alla ricerca delle persone scomparse, contro la dittatura e per la difesa dell’integrità del Creato». Con Oscar Oudri abbiamo commentato la visita del papa e fatto il punto sulla situazione delle chiese sorelle in Uruguay e Argentina.

Che impressione ha avuto dell’incontro con il papa?

«E’ stato un momento molto positivo, con una forte carica simbolica. I discorsi di tutti sono stati importanti e di grande impatto. Il papa mi è sembrato una persona semplice, molto impegnata in favore dell’ecumenismo come quando era arcivescovo di Buenos Aires».

Gli ha ripetuto personalmente l’invito a “bere il mate insieme”? Ci sono possibilità di una visita alle chiese in Sud America?

«Sì, ha detto che verrà nel Rio de La Plata nel 2016 o nel 2017 per un incontro ecumenico simile a questo. Da noi il rapporto con i cattolici è molto stretto, c’è una pratica ecumenica condivisa da tempo, sia nelle celebrazioni ecclesiastiche, sia nell’ambito diaconale e della formazione».

Ha già avuto reazioni dalle chiese sulla visita di Francesco?

«Mi hanno chiamato i pastori di tre comunità, molto soddisfatti della riuscita dell’incontro. Devo dire che la Mesa in un primo momento aveva detto che non sarebbe stata presente a Torino ma la Commissione per le relazioni ecumeniche ha invece ribadito che una nostra partecipazione era fondamentale; quindi la Mesa ha riscritto alle comunità che aveva cambiato idea e le reazioni a questa seconda decisione sono state tutte positive».

Quando Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires, che rapporti aveva con i valdesi rioplatensi?

«Nel 2000 c’è stato un grande evento ecumenico in plaza de mayo, a cui hanno partecipato cinquemila persone, organizzato da Bergoglio e dal pastore valdese Norberto Berton, di cui era amico. Lunedì, quando ho avuto occasione di parlargli un momento dopo l’incontro ufficiale, il papa mi ha detto che ogni mese quando era a Buenos Aires andava a mangiare con Berton, che all’epoca era pastore della Ierba, la Chiesa evangelica riformata di Buenos Aires: da questa vicinanza personale sono nati anche rapporti comunitari».

Parlando invece della realtà delle chiese nel Rio de La Plata, come si è arrivati alla chiusura di Isedet, l’Istituto superiore evangelico di studi teologici?

«Non si tratta esattamente di una chiusura. Le nove chiese che costituiscono il consiglio direttivo di Isedet hanno voluto liquidare la personalità giuridica dell’Istituto per avviare un nuovo progetto. La biblioteca sarà mantenuta attraverso una fondazione apposita e sarà costituita una commissione che deve proporre un nuovo statuto, che preveda tra l’altro la possibilità del riconoscimento dei crediti da parte dello Stato. Anche l’edificio verrà ristrutturato. Siamo di fronte a una rifondazione del progetto su basi che si devono ancora verificare, ma l’intenzione è di continuare a fare formazione teologica insieme, anche eventualmente aprendo ad altre chiese».

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Qual è la fotografia delle chiese del Rio de la Plata, così come è emersa dall’ultimo sinodo?

«Il sinodo ha deciso la nomina di una commissione per la riorganizzazione generale della struttura delle chiese. Una decisione a cui siamo arrivati a causa della mancanza di vocazioni pastorali, che sta cominciando a creare dei vuoti nelle chiese: alcune sono senza pastore e dobbiamo capire come gestirle. Questa commissione sta studiando anche come adeguare il bilancio preventivo alla realtà della popolazione ecclesiastica dei due paesi, Argentina e Uruguay: i cambiamenti economici, del mondo del lavoro e del costo della vita sono talmente rapidi che è necessario riconsiderare le contribuzioni. L’intento è fare in modo che tutte le comunità abbiano lo stesso tipo di apporto, secondo un criterio equo».

Come mai c’è questa crisi di vocazioni al ministero pastorale?

«E’ ormai urgente una riflessione sul ministero pastorale, perché molti giovani fanno un percorso di studi di teologia che potrebbe portare al pastorato ma poi non chiedono di essere consacrati. Dobbiamo capire perché, se il problema è di ordine pratico – per il carico di lavoro o gli spostamenti – o vocazionale. Il prossimo sinodo sarà proprio dedicato alla riflessione sui ministeri, con l’intenzione anche di incentivare l’impegno e la responsabilità dei membri di chiesa che vogliano mettersi al servizio della comunità, soprattutto nelle chiese che non hanno un pastore a tempo pieno».

Il sinodo ha anche deciso di intraprendere una grande pastorale urbana: con quale obiettivo?

«La storia della chiesa valdese rioplatense è sempre stata rurale. Quando le comunità si sono inserite in ambiti cittadini, riproducevano dinamiche di paese, senza integrarsi e svilupparsi nella nuova realtà: di fatto le chiese sono impreparate alle sfide della città. Abbiamo bisogno di una formazione su come essere missionari in un contesto urbano; in questo senso abbiamo chiesto un supporto alla chiesa presbiteriana degli Stati Uniti, che ha una grande esperienza in proposito e che speriamo possa indicarci il cammino».

Foto P. Romeo/Riforma