Cambiare tutto per non cambiare nulla?

Il 20 febbraio verranno presentati in Consiglio dei Ministri i decreti attuativi del Jobs Act. La discussione politica dell’ultimo periodo, tra l’elezione del Presidente della Repubblica e la rottura del Patto del Nazareno, potrebbe influenzare questo passaggio. Conciliazione, ammortizzatori sociali, tipologie contrattuali e molto altro, che saranno normati dai decreti legislativi, e che continuano a preoccupare i sindacati, soprattutto per il nodo della precarietà. Antonio Sciotto, giornalista del Manifesto e dell’Espresso, ha commentato le notizie sul tema.

I giornali parlano poco dell’argomento in questi giorni, cosa ne pensa?

«Il tema è abbastanza dimenticato dai mass media in questo momento, presi dalla Presidenza della Repubblica e dai litigi tra Berlusconi e Renzi. Sul Manifesto, qualche giorno fa, abbiamo dato voce alla Cgil, che ha lanciato l’allarme sul fatto che i decreti attuativi rischiano di non realizzare la seconda parte annunciata del Job Act. Renzi, dando il contratto a tutele crescenti, aveva parlato del taglio dei contratti precari (“disboschiamo la giungla dei contratti precari”, aveva detto). Ebbene, pare che il disboscamento non ci sarà: il timore è che venga fatta un’operazione di maquillage di contratti, ma si pensa che di fatto questo tipo di contratti restino in piedi. I voucher, per esempio, buoni lavoro con cui si pagano prestazioni, verranno addirittura estesi. Non si sa cosa succederà dei Co.Co.Co., Renzi ha detto che li vuole cancellare, ma si teme un cambio di nome e basta. Si cancellerà, forse il Job Sharing, ma mi chiedo chi l’abbia mai utilizzato. Stiamo parlando di una tendenza che conosciamo bene dagli ultimi vent’anni: rinunciare a qualche diritto in cambio di altri, ma si realizza solo la prima parte, cioè la rinuncia».

I movimenti politici, come il passaggio al Pd di Pietro Ichino, possono cambiare qualcosa sui decreti attuativi o no?

«Esatto, pensavo proprio a questo esodo da Scelta Civica al Pd, come quello di Ichino, o Linda Lanzillotta, sono nomi che parlano più di politiche liberiste che di politiche di tutela del lavoro. Renzi in qualche modo aveva già realizzato il Job Act convincendo la minoranza Pd, su questi temi c’era unità: con questo ingresso si realizza ancora di più un rafforzamento di questa strategia».

La corsa al Quirinale ha compattato il Pd; dall’altra il Patto del Nazareno si sfalda: influenzano la questione del lavoro?

«Mattarella ha dimostrato un solido rapporto con la Costituzione, è una persona di valore e di specchiata onestà, che è piaciuta anche alla parte più a sinistra del Pd. Bisogna vedere se cambierà posizione rispetto a Napolitano, se inviterà Renzi ad avere rapporti maggiori con il sindacato o se invece, in continuità con Napolitano, conserverà un atteggiamento più neutrale o addirittura ignorerà il tema. Non credo che il Patto del Nazareno avrà un’influenza diretta sul lavoro, ma temo che il ricompattamento del Pd preluda al passaggio di questi decreti attuativi come li vuole Renzi».

I sindacati si mobiliteranno ancora?

«La Cgil ha un direttivo il prossimo 18 febbraio, e quindi faranno un punto sulle mobilitazioni. Credo che la Cisl sia ancora dell’idea di non mobilitarsi insieme alle altre due confederazioni: è difficile organizzare un nuovo sciopero generale, che costa a livello organizzativo e a livello economico per i lavoratori. Mi sembra che si punti su mobilitazioni che non siano uno sciopero, ma di contrasto del Job Act nella contrattazione, andando volta per volta, quando le aziende vogliono applicarlo, a tentare di respingere gli elementi più precarizzanti. Certo che se vogliono mantenere una centralità nel dibattito, qualcosa di più evidente dovranno farlo».

Foto “Q10 – p le Ostiense manifestazione CGIL del 25 ottobre 2014 P1060066” by LalupaOwn work. Licensed under CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons.