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Accadde oggi, 26 gennaio

26 gennaio 1979, la mafia uccide il giornalista Mario Francese

 

«Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado». Come ogni sera Mario Francese saluta in questo modo i colleghi della redazione del Giornale di Sicilia, e si avvia verso casa, in viale Campania a Palermo. Pochi minuti dopo, nella redazione di un altro giornale del capoluogo, Diario, una telefonata informa di un omicidio in strada, proprio su quel viale.

A prendere la chiamata è Giulio, che di Mario Francese è il figlio e che del padre segue le orme professionali. Giulio si precipita, ha un intuizione tragica. Giunto sul posto trova il capo della Mobile, Boris Giuliano, altro futuro martire della follia mafiosa, che lo riconosce e gli impedisce di avvicinarsi.

 

Muore così un cronista coraggioso. Un uomo coraggioso. Perché se dire la verità è sempre difficile e spesso scomodo, lo è particolarmente nella Sicilia degli anni sessanta e settanta, dove di mafia non parla nessuno. Non la politica, né la gente comune, né tanto meno i giornali. Forse nemmeno esiste questa mafia. Per Francese invece esiste eccome. Passa ore ed ore nelle cancellerie dei tribunali a leggere sentenze, dispositivi, atti. Intuisce prima degli altri, compresi i giudici, che bisogna seguire i soldi se si vuole comprendere qualcosa della rete tentacolare che Cosa Nostra è stata in grado di costruire. E allora svela e racconta di appalti pilotati, di società e cooperative, sempre le stesse, che si aggiudicano lavori in tutta la Sicilia, di qualche omicidio di imprenditore o proprietario terriero che viene fatto passare per delitto d’amore o di onore ma che in realtà nasconde ben altre implicazioni.

 

E’ il primo a tracciare una mappa delle famiglie mafiose e a parlare della struttura piramidale di comando, al cui vertice sta la cupola con i nomi dei boss più potenti. Boss che stanno per cambiare, e lo faranno con centinaia di morti sulla coscienza. Sulla scena stanno entrando i viddani di Corleoni, i Riina, i Bagarella, i Liggio e i Provenzano che di lì a poco spazzeranno via la vecchia mafia dei Badalamenti e dei Bontade. E Francese ha di nuovo capito prima di tutti, e di nuovo lo racconta. La strage di Ciaculli, la morte del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Si, perché i corleonesi stanno alzando il tiro, rompendo il patto non scritto di intrecci e relazioni pericolose con lo Stato. Relazioni da tenere taciute a costo della vita, e Francese dava fastidio a tutti, nuove e vecchie mafie.

 

Il figlio minore Giuseppe, anche lui giornalista, all’epoca della morte ha 12 anni. Negli anni recupera le carte del padre, indaga, interroga, fa si che le indagini vengano riaperte, vede alla sbarra e poi condannati nel 2001 i mandanti ed esecutori dell’omicidio del padre: vecchia e nuova mafia, tutta la cupola. E poi, come se avesse terminato lo scopo della sua vita, a 36 anni, nel settembre 2002 Giuseppe si uccide, vittima di mafia anch’esso. Morto dentro la sera del 26 gennaio 1979, ma rimasto in vita altri 23 anni per vendicare il padre.

Copertina: via livesicilia.it