Accadde oggi, 15 gennaio

È notte quel 15 gennaio del 1968, come troppe volte accade quando la terra trema. Un terremoto si propaga fra le provincie di Agrigento, Trapani e Palermo, focalizzato soprattutto nella valle percorsa dal fiume Belice. Le case di pietra e le strade costruite in fretta in nome della speculazione edilizia vengono rase al suolo.

 

Interi paesi non esistono più, i collegamenti sono pressoché impossibili. I soccorsi faticano ad arrivare e a organizzarsi. I morti saranno 370, oltre mille i feriti, addirittura settantamila gli sfollati, tragica appendice che si protrarrà per anni fra ricostruzioni mancate, esodi forzosi, baracche squallide e miliardi di lire finite nelle tasche dei ras locali invece che nelle opere pubbliche.

 

Il sisma mette inesorabilmente a nudo le arretratezze di quelle terre con abitazioni in tufo, crollate senza scampo. Terre abitate da vecchi e donne, perché gli uomini sono emigrati per cercare fortuna altrove. Lo Stato non riesce a reagire, si avvolge su se stesso fra opere faraoniche mai terminate e piani edilizi dimenticati. Danilo Dolci fa scrivere sui muri delle abitazioni distrutte che «La burocrazia uccide più del terremoto».

 

Qui la gente è stata uccisa nelle fragili case e da chi le ha impedito di riappropriarsi della vita col lavoro». Fra i primi a giungere nei luoghi della catastrofe e a prestare instancabile aiuto è il pastore valdese Pietro Valdo Panascia, il fondatore del centro diaconale La Noce di Palermo, lo storico oppositore della mafia già dopo la strage di Ciaculli del 1963: lui e le persone della sua comunità vanno nel Belice, sfangano e ricostruiscono in quell’inverno da incubo. Dal suo impulso nasce il villaggio «Speranza» , uno dei rarissimi esempi di edificazione di abitazioni degne di queste nome, e non di baraccopoli. Fonda cooperative per la produzione di tappeti e una cooperativa agricola per la lavorazione dei terreni. Quando la parola di Dio diventa fatto concreto.

 

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