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«Con gli occhi di Sara», un monologo in cui la violenza non ha l’ultima parola

«Mi chiamo Sara… e oggi vorrei raccontarvi un pezzetto della mia storia. Ché, se a 15 anni mi avessero detto che quello era amore, io mica ci avrei creduto. No… proprio no….». Sono alcuni passaggi del racconto «Con gli occhi di Sara» con il quale l’autrice Marta Fuligno ha vinto il «Premio speciale per il teatro – Veroli Alta» nel 2013. Quel racconto è diventato poi un monologo teatrale nel quale è la stessa Marta, da più di 15 anni impegnata nella compagnia teatrale Officina Malapena, che fa capo all’associazione culturale Oltre il Muro di Veroli (Fr), a dare voce alle riflessioni, paure, sogni e speranze di Sara.

Il monologo, già messo in scena in diverse occasioni con la regia di Marta Fuligno e Stefano Martufi, verrà riproposto sabato 7 marzo alle ore 16,30 presso la chiesa cristiana battista di Milano-via Jacopino da Tradate n. 6. Ne parliamo con l’autrice.

Come è nato questo lavoro?

«Nel 2013 ho partecipato ad un concorso letterario organizzato a Veroli. Il tema da trattare doveva essere la Ciociaria. Immaginavo che i partecipanti avrebbero evidenziato la cultura, le tradizioni, le bellezze paesaggistiche, la lingua che rendono unica questa terra. Io invece ho pensato di raccontare qualcosa che la rendesse uguale al resto del mondo: la violenza dentro il rapporto di coppia in un mondo dove la protagonista rischia di diventare un numero della semplice statistica, una donna come tante, la cui sofferenza riempie le cronache quotidiane. In aggiunta, poi, c’era l’esperienza concreta che stava vivendo una persona a me vicina, e quindi ho pensato che potesse essere utile affrontare l’argomento».

Che donna è Sara?

«Sara è una trentenne che si racconta attraverso il ricordo delle diverse tappe della sua vita. L’incipit del monologo è la descrizione di una bellissima storia d’amore dove in realtà quest’ultimo tende quasi a spersonalizzare i protagonisti, dove l’amore si identifica solo ed esclusivamente nella coppia. All’interno di questa relazione a poco a poco accadono degli eventi che fanno sì che si creino degli squilibri nella relazione, che sfociano in una prima reazione violenta da parte dell’uomo. Quel primo evento è decisivo per far capire a Sara che qualcosa è cambiato. Grazie, poi, al carattere forte e alla capacità di guardare le cose della vita con il giusto distacco lei riuscirà a prendere consapevolezza di sé, della propria bellezza e dei propri limiti e, finalmente, a liberarsi. Perché Sara non è tagliata per essere una vittima, ama la vita e vuole trovarci un senso che, come dice lei stessa, sta “nell’essere liberi, nel rispetto degli altri certo, ma essere liberamente se stessi”».

Nelle storie di donne che subiscono violenza spesso l’abuso va avanti da tempo. Non tutte hanno la stessa forza di Sara…

«Al primo atto violento Sara capisce che come donna non è più guardata con gli occhi dell’amore, e soprattutto che l’amore non può essere quello, ma la decisione di troncare la sua relazione non è immediata. Anche lei ha bisogno di un po’ di tempo – nel corso del quale la violenza si ripeterà – per capire che “è meglio senza”. Lei, infatti, dice “preferisco vivere la mia vita piuttosto che un amore così controverso”. Così la violenza fisica e psicologica, insieme ai tentativi di condizionamento e di manipolazione, sono solo “frammenti” della sua storia da cui ripartire».

Nella storia di Sara la speranza ha l’ultima parola sulla violenza. Questo ha a che fare con il tuo essere una credente evangelica?

«Credo proprio di sì. L’approccio evangelico ti apre non solo a credere che una situazione di oppressione, di schiavitù non è per sempre ma anche a lottare perché ci sia presto la liberazione. Nella ricerca della forza dentro di te, necessaria per spezzare le catene della violenza, sai di non essere sola ma di essere sostenuta dalla forza che ricevi in dono da qualcun Altro».