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Rom e Sinti, la minoranza più discriminata d’Europa

«Rom e i Sinti sono la minoranza più discriminata in Europa», lo ricorda Sabika Shah Povia sul sito dell’Associazione Carta di Roma (l’associazione nata per dare attuazione al protocollo deontologico per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana nel giugno del 2008), che vede tra i soci fondatori e nel direttivo la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

«In Italia – si legge –, nonostante rom e sinti siano lo 0,25% della popolazione i sentimenti “antizigani” sono i più alti del continente europeo, raggiungono l’82%. Tuttavia, la maggioranza dei Rom e Sinti presenti nel Paese (4 su 5) vive in abitazioni convenzionali, studia, lavora e conduce una vita identica a quella di ogni altro cittadino italiano o straniero presente sul territorio nazionale».

Le loro storie, tuttavia, sono poco note, «molti sono restii a rivelare la propria identità per il timore di pregiudizi e per via del crescente clima ostile».

Anche nell’informazione generalista prevalgono le notizie legate al degrado, agli episodi di delinquenza, ai “campi” dove vivono un Rom su cinque, all’incirca 26.000 persone definite in emergenza abitativa. Rom, sinti, manouches, kalé e romanichals sono etnonimi e/o autonimi, attraverso i quali la popolazione definisce se stessa; sono anche sinonimi, poiché sottintendono il termine di «uomo», e dunque appartenente alla popolazione romanì.

L’analisi del racconto giornalistico – dice il rapporto annuale 2018 di Carta di Roma, Notizie di chiusura – ha aiutato a capire quanto i media abbiano, negli anni, alimentato i pregiudizi contro le popolazioni romanès e quanto abbiano contribuito a distorcere la percezione della realtà, riguardo alla loro presenza sul territorio: «accade spesso che l’informazione sia “distorta” da parte di alcuni mass media contribuendo a creare un clima di allarme sociale del tutto ingiustificato e che non trova riscontri reali nei fatti».

Spesso la divulgazione di notizie su Sinti e Rom propone un accostamento generalizzato, cliché, tra questa minoranza e i soli fenomeni legati alla criminalità.

Questa minoranza paga anche uno scotto pesante, prosegue Povia, «quello di non poter avere una sufficiente rappresentatività e visibilità pubblica rispetto ad altre minoranze che risiedono nel nostro Paese»; eppure la cultura romanì, intesa in senso antropologico, è costituita da conoscenze, credenze, arti, senso morale, leggi, racconti e proverbi.

«La cultura della popolazione romanès – ricorda il professore e musicista rom Alexian Santino Spinelli – è transnazionale, multiforme e paradigmatica con infinite sfaccettature e sfumature, essendo distribuita in ogni continente e in tantissimi paesi».

Una cultura «tramandatasi oralmente, di generazione in generazione, per almeno quindici secoli – prosegue Spinelli –, esponendosi all’influenza delle culture dei paesi attraversati nel corso del lungo viaggio dall’India verso l’occidente», una cultura che è stata capace «di ispirare alcuni tra i più importanti compositori mondiali: da Brahms a Listz, da Bizet a De Falla, da Schubert a Debussy, sino ai compositori e musicisti più contemporanei, una popolazione pacifista, che non ha mai fatto la guerra a nessuno».

In realtà, prosegue Spinelli, «dovremmo parlare di culture romanès, perché sono tante e diverse le tradizioni. Ogni comunità romanì rappresenta una cultura, un mondo, una realtà e sé stante. I concetti basilari riscontrabili a diversi livelli e con diversa intensità tra le comunità si basano su una percezione dualistica del mondo: il concetto di onore e vergogna; il concetto di puro e impuro e il concetto di fortuna e sfortuna legati alla sfera religiosa, per fare solo degli esempi. Questi concetti esercitano un forte condizionamento su ogni aspetto della vita, sia individuale sia collettivo, e rappresentano criteri di orientamento dei valori essenziali di ogni comunità. La natura dualistica della percezione del mondo è sempre presente nella cultura romanì; questa dicotomia è costantemente sottesa in ogni aspetto della vita».

Eppure, ancora oggi «Il popolo Rom e Sinti – ha ricordato il giovane Musli Alievski, il fondatore dell’associazione Stay Human – continua a subire soprusi e angherie nell’indifferenza di molti, quei molti che ignorano quanto l’indifferenza possa uccidere […]. Quando cresci e vivi in una società che in nome della libertà di espressione si sente libera di offenderti e vomitarti contro parole di odio ti trovi spesso costretto ad interiorizzarle, a concepirle come fossero la normalità».

Il progresso tecnologico, il boom economico, lo sviluppo delle attività industriali hanno soppiantato le attività tradizionali e la maggioranza di rom e sinti nel tempo ha dovuto operare una riconversione economica, ma il modo di porsi di fronte alla vita e di interiorizzarla, e soprattutto la loro struttura sociale, è rimasta pressoché immutata.