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Metodisti britannici: «europei fuori dall’Europa»

Pochi giorni fa si è conclusa la Conferenza metodista britannica e lei ha partecipato in rappresentanza dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi). Cosa ci può dire?

«La Conferenza metodista britannica si riunisce annualmente in luoghi diversi. Quest’anno si è tenuta presso la Methodist Central Hall di Westminister, proprio di fronte al Parlamento inglese. Dal 30 giugno al 7 luglio circa 200 persone tra pastori, laici e osservatori internazionali – io rientravo in quest’ultimi – si sono riuniti per affrontare diversi temi, tra i più rilevanti certamente: la definizione di matrimonio; il tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo; gli investimenti etici della chiesa; la povertà e l’ambiente. Altro focus importante è stato quello sulla violenza di genere e gli abusi sui minori. Un lavoro iniziato l’anno passato attraverso un’indagine conoscitiva e capillare tesa a far emergere casi di abuso nei confronti di donne e bambini che la chiesa metodista ha deciso di “illuminare” e rendere visibili. Un’iniziativa nata spontaneamente, senza condizionamenti esterni o imposizioni dettate dall’urgenza di affrontare casi denunciati da abusati o resi pubblici ai mass media. Un lavoro importante e utile per prevenire e salvaguardare tutte le parti: gli operatori laici, i ministri di culto, i membri di chiesa: donne, uomini, giovani, bambine e bambini; le persone con fragilità o affette da disturbi psico-fisici e mentali, situazioni che spesso rendono più facilmente condizionabili. Dunque un documento, sottolineerei uno strumento, di controllo e monitoraggio serio e preventivo in grado di offrire strumenti di lavoro per le chiese. Per garantirne l’operatività e la continuità è stato predisposto un pool di supervisori, sempre in dialogo con chi opera all’interno delle chiese».

Da questo report sono emersi casi di abuso su minori o di violenza sulle donne avvenuti all’interno delle chiese metodiste inglesi?

«Sono emersi casi avvenuti nel passato, dunque culturalmente e temporalmente lontani. Nel computo dei dati si tenuto anche conto di casi di abuso che hanno riguardato membri di chiesa, soprattutto donne, avvenuti al di fuori delle chiese metodiste perpetrati da persone estranee alle comunità. Il report, più che altro, è stato pensato per porre l’attenzione sul tema, sensibilizzare, piuttosto che per indagare sui singoli casi. Un’iniziativa voluta per mettere al riparo ogni singola persona da situazioni pericolose, spiacevoli, e per definire azioni concrete: formazione, sensibilizzazione, senza dimenticare la deontologia e l’etica professionale. Proprio in quell’occasione mi è stata data l’opportunità di citare il documento ecumenico italiano contro la violenza sulle donne, promosso dalla Fcei e dalla Cei congiuntamente e firmato al Senato della Repubblica insieme alle chiese ortodosse. Inoltre ho potuto ricordare tutto il lavoro che le nostre chiese, su questi temi, portano avanti da sempre attraverso la pubblicazioni di articoli e volumi, attraverso la l’organizzazione di incontri, dibattiti e convegni preparati da comitati femminili e in particolar modo dalla Federazione donne evangeliche (Fdei)».

Un’altra sessione importante è stata quella dedicata alla valutazione di una diversa definizione di matrimonio. Ossia?

«Negli ultimi due anni la Conferenza metodista britannica ha istituito una Commissione – un po’ come è avvenuto all’interno delle nostre chiese metodiste e valdesi grazie alla Commissione di lavoro sulla famiglia – che ha prodotto un documento poi sottoposto all’attenzione delle Conferenza. Nell’elaborato sono emerse effettivamente alcune piccole aperture, tuttavia si è deciso di procrastinare di un anno la decisione in merito alla definizione di matrimonio; una definizione che non può essere limitata alle coppie dello stesso sesso ma, in senso più ampio, alla luce della Scrittura e dei tempi che cambiano, su cosa intendere per matrimonio o relazione rispetto alla sessualità prematrimoniale, alle separazioni, ai divorzi, alle seconde nozze; per fare solo degli esempi. Per produrre questo documento la Commissione sul matrimonio ha ascoltato oltre ottomila membri di chiesa, ricavandone una vasta gamma di opinioni e di considerazioni».

Vi è anche un’azione metodista sulla povertà e la giustizia?

«Certamente. Si tratta di un lavoro non esclusivamente rivolto ella dimensione caritatevole, bensì ad una visione più ampia. Un’analisi che intende indagare nel profondo delle cause che provocano la povertà, la disuguaglianza e la sperequazione nel mondo. La Conferenza si è resa conto, dopo un primo lavoro su questi temi inizialmente teso verso l’esterno, che oggi è costretta a guardare anche al suo interno. L’Inghilterra sta attraversando una preoccupante crisi economica e occupazionale. Queste nuove povertà e il generale abbassamento della qualità della vita sono stati evidenziati in occasione della Conferenza: 13 milioni di persone vivono in condizione di povertà, questi dati sono davvero preoccupanti».

La Conferenza si è tenuta pochi giorni dopo il referendum “Brexit” che ha sancito la definitiva uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Si respirava un’aria particolare?

«Non solo si respirava un’aria particolare, la Conferenza ha prodotto un documento dedicato a questo tema. Un documento contro il “Leave”: ossia l’uscita dall’Unione Europea. La Chiesa metodista inglese nel suo complesso è sempre stata per il “Remain”. Si deciso e poi fatto, di inviare anche una lettera alla Regina Elisabetta d’Inghilterra per farle giungere i contenuti del documento prodotto. Un documento che si pone in netta contrapposizione con le questioni che i sostenitori del “Leave” avevano addotto per giungere all’esito, imprevisto per molti inglesi, del referendum. Ossia è stata espressa una netta posizione di contrasto contro chi esprime sentimenti di divisione, di odio razziale e di paura. Rifugiati e migranti sono stati i capri espiatori utilizzati per riaccendere antiche paure e fomentarne di nuove. Si può affermare che la vittoria del “Leave” si è appoggiata allo spauracchio di un ipotetico arrivo di massa – o di transito verso altri paesi europei – di persone vulnerabili e bisognose e che questo arrivo, potesse in qualche modo impoverire l’Inghilterra gettandola nel baratro. Una strategia che ha fatto presa. Luoghi comuni identici a quelli utilizzati in Italia da molti schieramenti politici. Il documento, consultabile sul sito della Methodist Church, esprime una ferma condanna nei confronti del razzismo e delle discriminazioni, un documento votato all’unanimità. Si è infatti deciso, proprio in quei giorni, di adottare una forma di protesta adottando una campagna lanciata a livello nazionale da una signora inglese e che prevede la messa al petto di una spilla da balia vuota e priva di simboli, proprio per indicare l’apertura all’Europa e simboleggiare il contrasto verso ogni forma di razzismo e discriminazione. Mentre si votava un milione di persone manifestavano davanti al Parlamento, noi osservatori internazionali siamo riusciti ad uscire e a partecipare a quell’evento per seguire la manifestazione “anti-Leave” che, forse ,sarebbe stato più utile promuovere prima del referendum».

In quanto italiana e membro dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi che attraverso l’otto per mille sostiene, insieme alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Comunità di Sant’Egidio, il progetto pilota in Europa dei Corridoi umanitari, sarà certamente stata chiamata a raccontarne l’esperienza. È così?

«La chiesa metodista inglese è rimasta colpita dall’impegno globale che le nostre chiese, metodiste e valdesi, hanno sempre avuto nell’ambito della società civile. Un impegno che in questi ultimi tempi è rivolto in particolar modo a favore di rifugiati e migranti, e che noi operiamo attraverso diversi progetti e uffici, il progetto più significativo al momento è certamente quello di Mediterranean Hope (Mh) della Fcei con all’attivazione dei Corridoi umanitari. Un progetto sostenuto dalla società civile e dalle Istituzioni italiane ed europee. Il tema “rifugiati e migranti” è stato più volte affrontato dalla Conferenza. Mi è stata data tuttavia l’opportunità di poter illustrare il nostro lavoro riservandomi una sessione nella quale ho ricordato il progetto Mh e quello dei Corridoi umanitari, senza dimenticare il lavoro capillare che sin dagli anni Ottanta su questo tema – oggi con il progetto Essere chiesa insieme – portiamo avanti come chiese evangeliche e protestanti storiche italiane. Ovviamente i Corridoi umanitari hanno destato grande interesse. Molti dei membri della Conferenza metodista britannica hanno infatti avuto modo di visitare Lampedusa e Scicli, dove operiamo attraverso l’Osservatorio sulle migrazioni, partecipando alle celebrazioni interreligiose del 3 ottobre e alla Casa delle culture Scicli. È stato espresso un apprezzamento incondizionato al nostro lavoro ed anche il desiderio di poter procedere con iniziative analoghe. Un bel segnale».

Oltre alla Conferenza annuale, quali rapporti intrattenete con la chiesa metodista britannica?

«Rapporti molto intensi, ricordavo poco fa la recente visita nei nostri centri in Sicilia. Anche storici, perché parliamo della nostra chiesa madre. Inoltre la Conferenza metodista ha sempre inviato in Italia membri di chiesa nelle nostre comunità oppure nelle chiese di lingua inglese. Solo lo scorso aprile è stato inaugurato l’Ufficio ecumenico nei locali della chiesa metodista di Ponte Sant’Angelo, sorto per curare i rapporti e le relazioni tra il mondo metodista britannico, in particolare, e la chiesa cattolica. Un dialogo a due in cammino da più di dieci anni».     

Immagine: di Pietro Romeo