Benedizione a coppie dello stesso sesso, “un passo avanti che dà speranza”

Il commento di due esponenti evangelici, Letizia Tomassone e Gabriele Bertin, al documento varato ieri dalla Chiesa cattolica

Le coppie “di fatto”, a partire da quelle dello stesso sesso, possono essere benedette. Questo in sintesi quanto deciso ieri dal Dicastero per la Dottrina della Fede attraverso il provvedimento “Fiducia supplicans”, varato in accordo con Papa Francesco. L’ex Sant’Uffizio ha dunque deciso che le benedizioni sono possibili ma non in un contesto liturgico e non in modo tale da generare “confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio”. Molte le reazioni positive, sia dalla società civile che dalla politica. Abbiamo quindi chiesto a due esponenti evangelici un parere su questa storica svolta.
Per Letizia Tomassone, pastora della Chiesa Valdese di Napoli, coordinatrice dei corsi di Studi femministi e di genere presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma, «chiamano “risorsa pastorale” questo allargamento della benedizione che vuole cogliere il senso della grazia di Dio che tocca ogni aspetto della vita di tutti e tutte. Parlano quindi di “chiesa in uscita”, evidentemente in uscita dalle sue norme e da quei “prerequisiti morali” che danno accesso al sacramento del matrimonio. “In uscita” per rispondere alla domanda che viene dalla società. La benedizione viene descritta quasi come una casualità (durante un pellegrinaggio o un incontro, come gesto di conforto, custodia e incoraggiamento). Insomma fuori dalle mura della chiesa e dai sacramenti che vi sono ben custoditi, ma sempre con la necessità di un sacerdote che benedica, una figura indicata come “paterna”. La chiesa esce ma non tanto, tiene salda la sua struttura sacerdotale, la divisione tra laici e chierici. Eppure questo documento porta certo una buona notizia al popolo arcobaleno e ancora più a quelle coppie in seconde nozze (civili) che non hanno potuto accedere alla benedizione matrimoniale. Un’apertura che potrà avere degli sviluppi grazie al coraggio spirituale e pastorale di tanti presbiteri e comunità che vorranno praticare l’accoglienza. Quella che il documento radica nella grazia incondizionata di Dio. E questa è una buona notizia, che la grazia di Dio venga prima di ogni altra cosa. Ed è una buona notizia per l’indirizzo che prenderà il Dicastero per la Dottrina della Fede, guidato dal cardinal Fernandez di nuova nomina».
E il documento vaticano è una buona notizia anche per Gabriele Bertin, pastore presso le chiese valdesi di Taranto, Grottaglie e Brindisi. «Riconosco che un’apertura del genere, per quanto parziale sia, su una tematica che fino al 2021 era stata bollata con parole forti, dona speranza – dichiara –. Si vede un piccolo passo verso l’ascolto e l’attenzione posta alla pluralità di forme di vivere l’amore. Ancora di più, credo si debba riconoscere come questa decisione arrivi a seguito anche di un grande lavoro e prassi “dissidente” da parte di molti preti e vescovi tedeschi e dei paesi del nord Europa, mostrando il valore che può avere una “dissidenza dal basso”, che parta dal concreto delle vite dei e delle fedeli, per poter arrivare a mutare anche la visione dei vertici di una struttura fortemente gerarchica e eterocispatriarcale».
Ma per Bertin non è tutto oro quel che luccica. La presa di posizione del Pontefice va cioè approfondita e contestualizzata. «Da pastore e membro della comunità LGBTQ – continua –, non posso che guardare con disappunto ad alcune delle formulazioni usate nel documento “fiducia supplicans”, nonché alla visione che ne traspare tanto del concetto di benedizione, quanto della coppia. Viene da subito posta questa possibilità di benedizione al di fuori della liturgia, non avendo la possibilità di possedere formulazioni fisse o inserita in un rituale, per non rischiare di essere confusa con un matrimonio eterosessuale, che invece simboleggia il coronamento del progetto di Dio. Viene creata una sorta di benedizione di serie B, liberata dall’ufficialità della liturgia, ma anche considerata diversa a livello di importanza e riconoscimento. Certo, viene detto, che l’obiettivo è di valorizzare il «significato pastorale delle benedizioni e di ampliarne e arricchirne la comprensione classica» tramite una riflessione che parta dalla visione pastorale di Papa Francesco. Mi chiedo però quale sia l’idea pastorale dietro alla possibilità di dire una parola di benedizione che non abbia un valore pubblico, che non possa essere vissuta all’interno di un quadro comunitario e che sia non riconoscibile. Come si fa a benedire un amore che viene, però, inquadrato come irregolare? Magari non viene usata la parola peccato ma per me resta la sensazione di non vedere riconosciuta nella mia maniera di amare una occasione per incontrare il “dire-bene” di Dio anche per una parte di umanità».
C’è infine un tema specifico: il significato della benedizione. Secondo il pastore valdese, «Viene detto che la richiesta di benedizione mostra “una supplica, una richiesta di aiuto a Dio per vivere meglio”. Ecco, credo che la benedizione, invece, abbia il valore non di vivere meglio, perché non è la chiesa che decide se io e il mio compagno o compagna viviamo meglio o peggio. Benedizione è il riconoscere il suo bene, il suo progetto, la sua presenza in quel qualcosa a cui guardo. La benedizione, quindi, è di Dio, non della chiesa, non della liturgia».