Libertà e liberazione nella religione

Dialogo e confronti fra religioni sono indispensabili strumenti, anche i tempi bui e difficili

A Torino, presso Dar al-Hikma, il centro culturale islamico fondato dallo scrittore Younis Tawfiq, nell’ambito di un ciclo sulla “Libertà del sacro”, è stato chiesto a chi scrive di intervenire martedì 14 novembre in una tavola rotonda dal titolo: “Libertà e liberazione nella religione, tra secolarizzazione e suprematismo”. Il ciclo di incontri è alla dodicesima edizione ed è promosso anche dalla Accademia di studi interreligiosi con sede a Milano. Younis Tawfiq ha introdotto l’incontro, consapevole che il contesto dell’ultimo mese si è reso angosciante per tutti, da quel terribile 7 ottobre, e ha citato il dialogo tra l’imam Yahya Pallavicini e il rabbino Alfonso Arbib (su “Avvenire”, 15 novembre) che invita a «impegnarsi per un’educazione alla pace che metta veramente fine al conflitto» (https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/l-escalation-medioriental-6aef1653…).

Il tema “Libertà e liberazione nella religione” è un tema costantemente attuale per tutte le fedi ed è importante che si possa riflettere insieme, mostrando che il dialogo e il confronto sono possibili, anche in momenti difficili e bui come quelli che stiamo vivendo, perché è arricchente poter conoscere un’altra fede soprattutto per rispettarsi a vicenda, con pari dignità, come esseri umani in ricerca di fede e speranza, e per alimentare democraticamente la civile convivenza. Nelle nostre città sono ormai decenni che esiste una “normalità della convivenza interculturale e interetnica” con bambini e bambine di culture e religioni diverse che frequentano la stessa scuola e crescono, pur con disuguaglianze e difficoltà, sfruttando e fruendo le stesse opportunità che la scuola pubblica garantisce. In Italia manca però una legge organica sulla libertà religiosa che affronterebbe i tanti ambiti della convivenza civile, dal riconoscimento delle comunità religiose alla piena accettazione del pluralismo culturale e religioso, non solo come mosaico di differenze che coabitano fianco a fianco, ma come laboratorio dove la convivenza viene approfondita su basi di uguaglianza nella diversità e pari dignità e diritti per tutti e tutte. 

Stiamo assistendo a ben due guerre ai confini dell’Europa che mai avremmo pensato di vedere nel XXI secolo, con l’insorgenza nel dibattito pubblico in Italia, di schieramenti contrapposti, stereotipi e pregiudizi, che alterano il terreno comune del confronto e che dunque minacciano le nostre democrazie già gravemente indebolite da una crisi della rappresentanza e, soprattutto, della partecipazione civile. L’acuirsi della stigmatizzazione del diverso per fede, dunque dell’antisemitismo e dell’islamofobia, sono fenomeni che ci devono preoccupare tutti e tutte, e che richiedono un programma di azione e di prevenzione che le istituzioni pubbliche devono mettere in campo, attraverso l’educazione alla convivenza, che è interculturale e interreligiosa. Bisogna inoltre imparare dentro a ogni religione a contrastare le forme di fondamentalismo, di razzismo e di denigrazione dell’altro, ridotto a nemico o a diverso, bisogna cioè contrastare tutte le forme di disumanizzazione dell’altro e bisogna imparare a dialogare. È importante soprattutto tra i più giovani che sono immersi in questo clima d’odio. Le guerre ci sono sempre state ma dopo la Seconda guerra mondiale, proprio quando tra due contendenti la pace sembrava impossibile, oltre a far rispettare il diritto umanitario internazionale, si è convenuto di promuovere una via da operatori di pace, fuori dal campo in cui avviene il conflitto, cioè nella comunità internazionale.

Ogni fede, e tutte insieme, possono dunque scegliere di sostenere percorsi di mediazione dei conflitti e riconoscimento delle diversità, nel segno di una riconciliazione con un percorso di liberazione dal peccato. A fronte di problemi attuali quali il neonazionalismo, le guerre, l’avversione agli stranieri, le guerre culturali, la metodologia della riconciliazione (Versöhnung è un termine teologico applicato anche al linguaggio quotidiano e alla politica) può essere perseguito nel tempo, nella consapevolezza della sua difficoltà, ma anche come progetto che dà speranza perché consente di trovare vie generative e creative in seguito alle avversità, nei contesti di post-conflitto. Nella XXII edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico (scorso 27 ottobre) l’invito degli organizzatori era “a un disarmo dei cuori. A una conversione che rinnovi la nostra vocazione a essere custodi dell’opera di Dio”. E questo invito è risuonato potente anche a Dar al-Hikma.