«Da Gaza ci arrivano continuamente notizie tragiche»

Intervista a Riccardo Sirri, direttore di EducAid che da molto tempo opera nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania in progetti di sostegno umanitario

«La frustrazione più grande è di lavorare in un contesto in cui vediamo uno sviluppo sociale, la nascita di centri e servizi che portano dei benefici per le popolazioni, e poi arrivano i momenti come quello attuale in cui crolla di nuovo tutto e quindi si passa nuovamente alle armi, alle bombe, al conflitto. Ricominciare è sempre più dura. Le persone sono sottoposte a uno stress pazzesco, almeno dal 2009 ad oggi, con le altre guerre, almeno 4 se ne contano, di questi anni. Anche la speranza rispetto al futuro è limitata tantissimo. Gaza è un contesto molto popolato, con una densità abitativa che è tra le più alte della terra, in alcuni campi è proprio la più alta in assoluto, Nel campo profughi di Jabalia, che è un chilometro quadro, vivono oltre 100 mila persone e dell’altro giorno è la notizia di una bomba sul campo: questo significa mietere tante vittime civili. A volte è così difficile lavorare sui temi educativi e dei diritti come facciamo noi, perché spesso il rischio è di percepirli come una retorica vuota, nel momento in cui non si riesce a garantire l’incolumità delle persone. La tragicità più grossa delle ore che stanno vivendo sia la parte israeliana che la parte palestinese è proprio questa: che la società civile di entrambe le parti debba subire le conseguenze di una lotta armata che non ha scelto. Noi ascoltiamo la voce dei nostri colleghi e amici, non c’entrano nulla con il terrorismo, con gli atti di cui abbiamo sentito, però ne stanno pagando un prezzo carissimo in termini di vittime. Ciò ovviamente getta anche delle ombre terribili sul futuro perché è difficile costruire un futuro di pace, di condivisione, di tolleranza, dopo eventi tanto tragici».

È affranto Riccardo Sirri, direttore di EducAid, Ong riminese da oltre 20 anni impegnata nella cooperazione internazionale in tante aree del mondo, Palestina compresa. EducAid ha radici ancora più profonde che affondano nel Secondo dopoguerra, quando la città della costa romagnola era ridotta a un cumulo di macerie. In quel contesto di devastazione giunse una donna, «una pedagogista e cooperante ante litteram svizzera, Margherita Zoebeli, che fin dai primi momenti, i primi mesi del 1946 diede vita al Ceis, il Centro Educativo Italo-Svizzero con un centro sociale in grado di prendersi cura dei bambini in situazioni di maggiore vulnerabilità: orfani, con disabilità, in situazioni di grave emergenza». Nei decenni successivi lo spazio diventa una scuola dell’infanzia a cui poi viene aggiunta la scuola primaria che «proponeva e propone ancora oggi un approccio nella direzione della piena l’inclusione, ancora prima che potessimo usare questa parola nel suo significato pieno che conosciamo oggi in seguito anche all’adozione della legge sull’inclusione scolastica italiana». 

EducAid nasce da questo humus nello specifico per rispondere all’emergenza in corso nei Balcani nella seconda metà degli anni ’90 con l’idea di un’educazione inclusiva capace di diventare strumento di sviluppo per l’intera società.

Dal 2012-2013 in avanti al tema dell’educazione inclusiva si è aggiunto quello della promozione dei dirittidei vari gruppi vulnerabili, in particolare delle persone con disabilità, tramite la loro partecipazione diretta ai processi che li riguardano. EducAid diventa allora uno dei fondatori, nel 2013, della Rete Italiana disabilità e sviluppo (Rids) che nasce proprio con l’intento di promuovere un’attenzione nei processi di cooperazione internazionale ai diritti delle persone con disabilità, seguendo i dettami della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Da diversi anni EducAid opera nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, in partnership con altri soggetti, in un elevato numero di progetti rivolte alle donne, ai bambini alle persone con disabilità.
Il 6.9% della popolazione di Gaza è costituito da persone con disabilità. Rappresentano uno dei gruppi più vulnerabili in quanto sono costrette ad affrontare le difficoltà più estreme nella vita quotidiana. I

Parlare oggi di progetti e pianificazione di interventi sociali appare assurdo, un dolore che si somma al dolore per le migliaia di vittime e feriti in così pochi giorni.

«Il tema della disabilità adulta – ci racconta Sirri – soprattutto in Palestina, è diventato in questi anni un focus importante del nostro lavoro e, così come noi siamo fortemente convinti che la presenza di diversità e di disabilità nelle classi possa costituire non un limite, ma una ricchezza anche per la proposta didattica, allo stesso modo sosteniamo nei nostri progetti che nel momento in cui la diversità e la disabilità è presente in un contesto, i bambini o i altri soggetti coinvolti, anche senza disabilità, possono beneficiare di una proposta didattica e sociale più ricca. Attraverso la relazione passano una serie di life skills, di competenze di vita, importanti per il loro sviluppo, per la loro crescita. Penso all’empatia, alla cooperazione, alla capacità di leggere i sentimenti, le emozioni, alla capacità di trovare linguaggi di comunicazione ulteriori tra le persone». 

In Cisgiordania e a Gaza EducAid iniziò occupandosi proprio di scuola e di servizi educativi anche extra scolastici, per bambini che vivevano in villaggi privi di questi servizi. «EducAid nasce quindi con questa mission: intendere la cooperazione internazionale come una cooperazione educativa, quindi lavorare insieme, cooperare nella diversità, per la promozione dei diritti universali dell’essere umano e per la creazione di società inclusive nel mondo. Tra le varie iniziative abbiamo creato insieme ad associazioni locali delle unità mobili: pulmini, van, che contengono materiali educativi e ludici e che tramite un gruppo di operatori, che sono educatori, anche animatori: si muovono da un villaggio all’altro della Cisgiordania, peraltro anche in zone militarizzate, quindi anche laddove c’era una presenza in strada e nel territorio di militari israeliani in una situazione di occupazione. In quelle due ore in cui è possibile svolgere attività vediamo trasformarsi un poco la realtà di quel luogo». 

«Nella Striscia di Gaza – continua Sirri – ci è spesso capitato di ricostruire scuole danneggiate o distrutte dai bombardamenti; nel momento in cui le si ricostruisce si cerca di farlo meglio di come erano, quindi con un’attenzione proprio agli spazi, alla accessibilità. Ovviamente la Striscia di Gaza è un’area dove purtroppo ciclicamente avvengono operazioni militari, conflitti, scontri, quindi si lavora su un doppio binario: di sviluppo da un lato, però spesso poi si ricade anche in una prima emergenza. 

EducAid non si occupa direttamente di interventi in tipo sanitario o altro, quindi di primissime emergenze, però c’è capitato subito dopo la primissime emergenza di ripristinare servizi educativi, oppure comunque servizi di supporto psicosociale sempre con i bambini, oppure da quando collaboriamo con la Rids abbiamo formato persone con disabilità affinché possano offrire servizi e consulenze ad altre persone con disabilità, in particolare per proporre un percorso di supporto, sia psicologico ma anche informativo a coloro che o hanno disabilità dalla nascita, ma in particolare in Palestina per coloro che l’hanno riportata in seguito a ferimenti, amputazioni etc., e che quindi devono accettare questa nuova condizione. Questo ha portato 4 anni fa all’apertura del “Centro per la vita indipendente a Gaza City”, che è un centro gestito da uno staff in gran parte composto da persone con disabilità e il board, il consiglio direttivo, è completamente composto da persone con disabilità che offrono servizi ad altre persone con disabilità. 

Quando parliamo di servizi parliamo di servizi a 360°, c’è un spazio per la consulenza alla pari per fornire i servizi di supporto, ma c’è anche un officina in grado di riparare, costruire ausili, carrozzine, deambulatori, tutto ciò che serve per i vari tipi di disabilità, soprattutto ovviamente di tipo fisico e sensoriale. 

Oggi appare tutto così lontano, annichilito dalla miriade di bombe che sta cadendo su un territorio così limitato. Ipotizzare un domani appare oggi un azzardo e un dolore troppo grandi.

«Noi abbiamo una cinquantina di operatori palestinesi, e alcuni operatori espatriati, con nazionalità italiana. I secondi sono al di fuori dalla Striscia, purtroppo i nostri colleghi palestinesi invece no, loro si trovano sotto le bombe letteralmente da quasi due settimane. Ci arrivano continuamente notizie tragiche, ormai sono quasi tutti nelle scuole dell’Unrwa, (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente), hanno lasciato la loro casa, tantissimi l’hanno perduta completamente e purtroppo molti di loro hanno perso familiari. Sappiamo che un nostro coordinatore ha perso la sorella con il marito e i figli nel crollo dell’edificio dove abitavano a causa del bombardamento indiscriminato, e la direttrice del “Centro per la vita indipendente”, ha perso 12 cugini che vivevano insieme. e ovviamente le ultime ore sono le peggiori, anche perché conosciamo la stretta sulle forniture di acqua, carburanti, cibo, medicinali. È una situazione drammatica, con la paura ulteriore di perdere i collegamenti, la possibilità di avere informazioni da chi è bloccato nella Striscia».

È forte lo scoramento anche perché tali azioni drammatiche ai danni dei civili distruggono anni di lavoro, e rigettano nella disperazione più nera chi è già alle prese con quotidiani soprusi, quotidiane violenze. Non a caso la società palestinese in Cisgiordania e nella Striscia è caratterizzata da un elevato livello di aggressività e violenza, particolarmente diffuse fra bambini e giovani. L’ambiente nel quale si trovano a vivere, e nel quale crescono, è caratterizzato dall’occupazione. Il perdurare del conflitto, e i continui fallimenti dei negoziati di pace, riducono la speranza di un futuro migliore.

«Noi siamo fortemente convinti che offrendo servizi e obiettivi di qualità in qualche modo si interrompa il circolo della violenza. Uno degli obiettivi del nostro lavoro è proprio questo, cercare di creare le basi, le condizioni affinché i bambini di oggi non siano i terroristi di domani, ma piuttosto costruiscano una società palestinese pacifica, inclusiva,. È chiaro che il nostro lavoro è fortemente messo in difficoltà, in discussione dagli eventi che succedono, nel senso che nel momento in cui sull’operazione militare il bombardamento rende i bambini privi dei genitori o privi dei fratelli in maniera violenta, tutto ciò che si fa diventa molto più limitato. Ci vorrebbero tanti interventi, ma soprattutto occorrerebbe mettere fine all’operazione militare. Su questo c’è una responsabilità grossissima nostra come comunità internazionale nell’aver lasciato soli i due contendenti, Israele e Palestina, soprattutto negli ultimi venti anni. Sono mancati gli sforzi di mediazione, gli sforzi nell’ostacolare l’avanzata dell’occupazione nei territori, gli sforzi per garantire delle mediazioni rispetto a una condivisione nei territori, a far sì che situazioni di apartheid, di grave discriminazione non ci fossero più. Perché è in quell’humus che si creano quei malumori, per usare un eufemismo, che poi portano a posizioni radicali fino al dramma del terrorismo e della pianificazione di atti come quelli che abbiamo visto. Noi siamo convinti che per contrastare il terrorismo e la violenza occorre proporre delle soluzioni di condivisione e di inclusione, altrimenti noi vediamo una disperazione che si trasforma in odio. Per fare ciò peròc’è veramente bisogno di uno o più soggetti terzi, del contributo internazionale: i contendenti lasciati soli non ce la fanno e purtroppo sono state tante sia le avvisaglie e i momenti critici che abbiamo visto e sono veramente troppe migliaia, i bambini, le donne, gli anziani, i civili che sono morti in questi 20 anni».