Pastore e teologo, vocazione unica

Giovanni Miegge e la “Giornata di studio” a lui dedicata

Una “Giornata” in cui i titoli evocavano delle opposizioni quasi inconciliabili. In questa edizione, dedicata a Giovanni Miegge stesso, i termini di quelle opposizioni si sono rivelati “non inconciliabili”, e il loro accordo, reso creativo da Miegge stessa, è stato ampiamente produttivo, ed è tuttora un punto di riferimento. «Fra la parrocchia e il mondo. Il pensiero di Giovanni Miegge» era il titolo generale, «Un “liberale postbarthiano”. Giovanni Miegge e il Novecento teologico» quello della relazione di Fulvio Ferrario. Ma l’antinomia più produttiva risuonata nell’Aula sinodale venerdì 18 agosto è stata quella fra teologo e pastore. Un’opposizione spazzata via per la pregnanza che Miegge stesso seppe dare ai due termini della sua vocazione.

Al mattino, la robusta introduzione di Bruna Peyrot, presidente della Fondazione Centro culturale valdese, ha sottolineato la capacità di Miegge (1900-1961) di rivolgersi alla cultura laica pur essendo del tutto organico e al servizio della propria chiesa (ancora un’ipotetica, opposizione, risolta invece in dialogo fecondo): si trattava, come sempre in ambito protestante, di vivere la propria fede nella storia. Peyrot ha ripreso uno scritto in cui il teologo segnalava che il protestantesimo ha saputo, nei secoli, entrare in rapporto con varie correnti di pensiero (dall’umanesimo rinascimentale all’illuminismo al romanticismo e via dicendo) senza lasciarsene assorbire e, soprattutto, reagendo con forza ogni volta che le polarizzazioni del pensiero parevano semplificare gli schemi: sarà così anche oggi e domani?

Fulvio Ferrario, docente di Teologia sistematica alla Facoltà valdese di Roma, ha esaminato il rapporto di Miegge con la teologia di Karl Barth (fu lui a tradurre per un editore laico, Feltrinelli, il commento all’Epistola ai Romani): accolse l’impostazione del teologo riformato svizzero, considerandolo una maestro ma ritenendo che vedersi come suo ideale “allievo” fosse una prospettiva che gli stava stretta. Così quando Miegge scriverà un libro di chiara intenzione apologetica (Per una fede, Claudiana, 1952, ultima edizione 1991), il chiarimento delle questioni dogmatiche via via affrontate non sarà una polemica contro le visioni teologiche dei predecessori, ma saranno sempre propositive e accessibili a chiunque. Umiltà e libertà intellettuale caratterizzarono la sua opera pastorale e di scrittura: «Parrocchia e mondo erano certo in tensione fra loro – ha detto Ferrario –, ma il massimo della mondanità poté coincidere con radicamento profondo e non convenzionale né clericale nella parrocchia». 

Filippo Maria Giordano, professore associato di Storia contemporanea, che ha insegnato Storia dell’integrazione europea all’Università di Bologna e Sussidiarietà e modelli di governance nell’Unione europea all’Università di Torino, ha ricostruito il clima e il fervore intellettuale che caratterizzò le “Giornate teologiche del Ciabàs” di cui Miegge fu uno dei protagonisti: si confrontavano in quella sede non solo teologi, ma persone pervase da gran fede e da una visione fortemente sostenuta dalla teologia di Karl Barth. Pastori, teologi ma anche intellettuali di altra specialità, e da quella sede alcuni trassero le motivazioni per assumere un ruolo attivo nella lotta di liberazione. Una figura in un certo senso di “cerniera” fu Francesco Lo Bue.

Nel pomeriggio il discorso si è spostato sugli aspetti pastorali del ministero di Miegge: a questo ambito appartiene il secondo volume dei suoi scritti raccolti da Claudio Tron (Al principio, la Grazia. Scritti pastorali, 1996 – il primo volume, Dalla “riscoperta di Dio” all’impegno nella società, risale al 1977): le sue parole, oltretutto scritte in un italiano bellissimo, sono state fatte risuonare dal pastore Winfrid Pfannkuche (chiesa valdese di Roma – via IV Novembre), che ha raccontato il valore dell’incontro con i testi di un predecessore: un uomo sempre alla ricerca dell’incontro con le persone, gioiosamente postosi al servizio di Dio, sempre in atteggiamento di gratitudine per i compiti che l’attendevano.

La coerenza del ministero di Miegge ha avuto un’eco anche nell’intervento di Daniela Di Carlo, pastora delle chiesa valdese di Milano, la quale ha ricordato come egli si fosse appassionato fin dagli anni ‘40 del ‘900 alla questione del pastorato femminile, ma ha anche rievocato l’eco che ebbe quel ministero fra le sorelle e fratelli della chiesa di Massello, da lei stessa servita nei primi anni di pastorato. Nella Guida dell’anziano, uscito come opuscolo nel 1942 e poi antologizzato da C. Tron, «c’è una visione di chiesa che sa accogliere le diversità» – ha detto Di Carlo. «Essere cristiano, diceva lui, è esperienza totalizzante»: oggi, anche fra colleghi e colleghe risentiamo della frammentazione della società e della cultura. Una constatazione importante, che potrebbe essere di svolta. La Giornata Miegge fa parte dei lavori del Corpo pastorale che ogni anno precedono il Sinodo, e dunque aver posto il problema è di per sé rilevante.

Un cenno va fatto, in ultimo, alla presenza costante delle opere di Miegge nel catalogo dell’editrice Claudiana: poche chiese possono vantare un tesoro così cospicuo di pensiero e di risposta alla vocazione ricevuta da parte di Dio, e da decenni sono fruibili da fratelli e sorelle. Anche questa è una risposta, da parte della piccola Chiesa valdese, alla “cultura dell’effimero” che per anni ha imperversato nella nostra società.