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A dieci anni dalle proteste di piazza Taksim: undici storie di resistenza

Nel parco di piazza Taksim di Istanbul nel 2013, esattamente dieci anni fa, era nato un presidio colorato e partecipato con tante e tanti giovani, un appuntamento perenne e affollato; la sera si faticava a camminare tra le migliaia di persone radunatesi spontaneamente. Si condividevano le tende in cui dormire, il cibo, la birra il tè. Chi voleva poteva prendere in prestito un libro dalla biblioteca allestita per l’occasione o fare un giro al Museo della rivoluzione posto all’ingresso del parco. Non mancava il servizio di assistenza sanitaria autogestito.

Cosa aveva spinto migliaia di giovani a scendere in piazza? Innanzitutto, la paura che la laicità potesse cadere sotto i colpi degli integralisti religiosi che avevano espresso l’intento de re-islamizzare il paese introducendo norme restrittive. Molti musulmani praticanti però erano lontani dalla svolta autoritaria del presidente Recep Erdogan. Una svolta che poi si è manifestata in modo evidente con gli atti di violenza usati per reprimere quelle proteste. Chiaro era allora il tentativo di accentrare (ulteriormente) il potere nelle proprie mani attuando anche una politica estera aggressiva. Oggi l’equilibrio geopolitico turco è molto diverso, e anche il ruolo di Erdogan (rieletto al suo terzo mandato) ha un peso internazionale.

La scintilla il 28 maggio: la protesta era contro la trasformazione del parco Gezi, adiacente alla piazza, in un centro commerciale con una nuova moschea e la ricostruzione di una caserma risalente ai tempi dell’impero ottomano.

Per comprendere come si sia arrivati alla Turchia che oggi conosciamo, ci viene in aiuto il libro del giornalista Murat Cinar Undici storie di resistenza – Undici anni della Turchia (Ebs Press, 2022), che sarà presentato dall’autore l’11 luglio alle 18 in occasione della kermesse libraria “Una Torre di libri” a Torre Pellice (To), insieme alla giornalista e collaboratrice di Riforma – L’Eco delle valli valdesi Emmanuela Banfo.

Cinar, nel volume, alterna i ricordi di quand’era bambino, poi ragazzo, intrecciandoli con le storie di undici persone (Serdar, Ömür, Bawer, Hayk, Ercan, Serdar, Ceren, Levent, Rosida, Aram, Baris) che hanno dovuto espatriare per poter continuare a vivere.
«Dal 2010 a oggi numerose persone hanno dovuto lasciare la Turchia per motivi politici o perché non si sentivano più al sicuro: professori universitari, studenti, parlamentari, sindaci, avvocati, giudici, alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, sindacalisti, attivisti del mondo dell’associazionismo e persino medici… così è nata e cresciuta una nuova diaspora in Europa. Nel libro racconto undici storie umane di grande determinazione, forza e convinzione. Undici storie di persone che dopo il loro approdo in Europa non si sono fermate ma hanno continuato a lavorare per creare un’alternativa al regime e al potere in Turchia. Undici storie di immigrazione, piene di difficoltà, ostacoli, discriminazioni, ma anche fatte di accoglienza, empatia e affetto».



Foto di VikiPicture, le proteste in piazza Taksim nel 2013
Un libro che non si chiude e che regala quattro pagine bianche tutte da scrivere, per indicare che tante storie sono ancora da scrivere anche dai lettori. L’ultimo capitolo, infatti, ricorda l’autore è «una non conclusione. Le undici storie, che ho deciso di raccontare, sono in realtà le storie di ognuno di noi: un padre severo, una madre illuminata, un fratello “diverso”, una città troppo piccola, un lavoro che non c’è, una storia d’amore che cambia la vita, l’incontro con degli ideali che possono farci rischiare tutto, una famiglia non biologica che ci accoglie, una nuova terra da esplorare, il desiderio di cambiare alcuni paradigmi e infine il desiderio di lottare sempre per il cambiamento».

Lo sguardo di Cinar è infatti quello di chi vive la propria vita in modo militante, quello del giornalista che parte dalla verità sostanziale dei fatti per analizzarli, per raccontarne i retroscena e per prefigurarne possibili scenari. «Ho dedicato tre anni di lavoro e di ricerca a questo lavoro – rileva infine Cinar –; è stata un’esperienza collettiva, vissuta talvolta anche in solitudine, un lavoro che ho intrapreso con grande entusiasmo e determinazione. Ho deciso di non terminare il libro con una conclusione, perché la lotta continua: ogni luogo è Taksim».