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Ucraina: quella che manca è la voce di noi europei

La guerra in Ucraina è stata al centro di più momenti dell’Assemblea della Conferenza delle Chiese europee/Kek (Tallinn, 14-20 giugno): momenti di grande intensità e spessore, come l’intervento di Sviatlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione al dittatore bielorusso Lukashenko. Tsikhanouskaya ha dato voce agli attivisti in carcere (tra cui suo marito), ai numerosi rifugiati (lei stessa vive ora in Lituania), alle famiglie distrutte dalla repressione, e ha raccontato di come il regime stia reprimendo anche le chiese, costringendo preti e pastori all’esilio. Oltre a lei ci sono state due affollate tavole rotonde con testimonianze dall’area. Sono intervenute persone straordinarie, giovani donne e uomini da Russia, Ucraina e Bielorussia: c’è chi resiste sotto i bombardamenti, chi è criminalizzato per l’uso che fa di YouTube, chi è costretto a riparare all’estero. Ad ascoltare le loro vicende, veniva in mente quella che Pasolini chiamava “La meglio gioventù”.

Ovviamente non tutto ciò che è stato detto era condivisibile. Con tutto il sostegno e la solidarietà che provo per il popolo aggredito, mi mette a disagio l’espressione “Gloria all’Ucraina”, quando in un contesto cristiano la gloria dovrebbe essere solo a Dio, così come la generale sovrapposizione della dimensione divina su quella umana (a esempio, un relatore ha detto: «Dio è Verità, Dio vince, la verità vince, la verità è con noi»). Tuttavia, in un certo senso chi vive sotto le bombe ha diritto di dire quel che vuole, molto più di chi vive in sicurezza e tranquillità.

L’impressione generale è stata che all’Assemblea mancasse una parte del discorso: a scanso di equivoci, non mi riferisco ai russi né al patriarca Kyrill. Infatti la Chiesa ortodossa russa aveva facoltà di partecipare, in quanto formalmente membro della Kek, ma ha scelto di essere assente per la terza assemblea consecutiva. Inoltre, non ci vogliono grossi sforzi per capire che l’aggressione russa è illegale, sproporzionata, spregiudicata e, dunque, ingiustificabile sotto ogni punto di vista.

La parte che è mancata è il “noialtri europei”. In un contesto dove ci sono una chiara colpa e una chiara ragione, dove il comportamento di una delle parti in causa è talmente violento e criminale da radicalizzare il discorso, al punto da giustificare qualunque azione della parte aggredita, sorge una grande tentazione per noialtri: volere essere dalla parte della ragione e non della colpa. Questa tentazione accomuna gran parte della popolazione europea, anche chi ritiene di avere una posizione alternativa.

È chiaro, infatti, che il sostegno europeo dell’Ucraina sia in massima parte dovuto alla paura che la Russia di Putin non si ponga limiti (paura non infondata). Il discernimento delle ragioni e dei torti non è un criterio rilevante nella politica estera europea. L’UE ha permesso a Putin di sostenere partiti antieuropei in Europa, di destabilizzare Ucraina, Moldova e Georgia (ora l’intera Federazione Russa), di distruggere Aleppo in Siria, di reprimere ogni opposizione interna, di violare estensivamente i diritti umani dei propri cittadini, compresa la libertà di religione. Che cos’è cambiato ora? È cambiato che ora abbiamo paura per noi, ma finché toccava agli altri…

Quando gli ucraini parlano di integrità territoriale, al di là del merito della rivendicazione, sappiamo che all’Unione Europea non interessa, visto che Cipro Nord (territorio UE) è occupato dalla Turchia dal 1974 e non se ne parla mai. Come dimenticarsi, poi, che l’UE fa di tutto affinché i migranti affoghino in mare e che in Europa non si vincono le elezioni se prometti di accogliere i rifugiati? Come dimenticare che i nostri paesi finanziano pesantemente i governi turco e libico per tenere illegalmente migliaia di persone rinchiuse in campi dove l’abuso, lo stupro e la tortura sono la norma?

Alla fine dell’intervento di Tsikhanouskaya era palpabile il disagio dell’Assemblea: come porsi di fronte a quello che ci ha raccontato e cosa possiamo fare? A nessuno degli organizzatori è venuto in mente che avremmo potuto offrire una preghiera, forse perché la preghiera pone davanti a Dio: un Dio alla cui presenza il nostro peccato vien rivelato.

È necessaria una conversione, non a posizioni di ragione a priori quali possono essere la pace, la non-violenza o anche il sostegno totale alle vittime dell’aggressione russa, ma alla consapevolezza di non avere una superiorità morale in questo contesto, e per questo fare la scelta di costruire una società su basi diverse rispetto alla conservazione dei propri privilegi.



Photo: Albin Hillert/Kek