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17 febbraio. Festa civile, Festa delle libertà

Intervista a Mauro Pons, pastore della chiesa valdese. Mauro Pons ha esercitato il suo ministero a Pinerolo per lunghi anni, ma anche in Sicilia (a Riesi e a Catania), a Torino e in alta-media val Germanasca (Massello, Perrero, Maniglia e Villasecca).

Cosa rappresenta per lei il 17 febbraio? Pensa che sia possibile considerarlo una “festa della libertà” per tutti e per tutte?

Come chiesa valdese storica e come metodismo italiano condividiamo una lunga presenza in questo Paese, l’impegno per la libertà di coscienza e di fede come “volano” di altre libertà e altre persone, l’impegno nel sociale. Quest’ultimo, anche grazie all’Otto per mille con cui le nostre chiese hanno potuto sviluppare azioni sociali e culturali significative in questo Paese, dove l’attenzione per gli ultimi, per i diritti, per una formazione che faccia crescere le persone ha ancora bisogno di sussidiarietà – di fronte, spesso, alle carenze di uno Stato come il nostro.

La festa della libertà è occasione per riflettere sulle possibili libertà future che bisognerà garantire all’interno di un quadro giuridico del diritto nel nostro Paese, ma anche all’interno di una dimensione culturale e sociale dove questi diritti esigono uno spazio. Con la nostra diversità, storicamente, siamo diventati uno specchio per altre diversità che, specularmente, ci vedono come persone che hanno lottato e ce l’hanno fatta. In questa prospettiva, credo che la Festa del 17 febbraio dovrebbe diventare, come hanno cercato di portare avanti molte personalità della nostra chiesa, una festa civile. Come il 25 aprile, come il 1° giugno. Questo significherebbe riconoscere, finalmente e pienamente, la faticosa storia, il percorso secolare che ci ha permesso di resistere di fronte ai tanti poteri: della chiesa, dei prìncipi, dei regnanti, del fascismo, della prima Repubblica. Poteri che in qualche modo hanno sempre tentato di soffocare le nostre istanze di libertà. E sarebbe anche un modo di ridare dignità a tutti i nostri avi che, forse in modo più fedele di quanto abbiamo fatto noi, sono stati capaci di resistere.

Penso, inoltre, che quella che celebriamo a ridosso del 17 febbraio dovrebbe diventare la Settimana delle libertà, al plurale. Perché le libertà si comprendono a partire dai soggetti che devono essere riconosciuti nel loro processo di liberazione. La libertà è il risultato di un cammino, di una battaglia o di una serie di battaglie attraverso le quali i soggetti che non si sentono o non sono liberi arrivano ad affermare sé stessi e la propria dignità. Il termine libertà è un termine che si declina in modi molto diversi, in Afghanistan, in Iran, in Italia, in Ucraina, in Sudan, in Congo o altrove nel mondo. Libertà corrisponde anche a una dimensione dello spirito.

Alle chiese protestanti talvolta si rimprovera di essere sempre pronti a protestare anziché a proporre. Cosa risponderebbe?

I protestanti e in generale il protestantesimo europeo e internazionale sono seme di iniziative, di idee, di visioni del mondo. Normalmente l’espressione che viene usata è quella di minoranza significativa. Essere minoritari in questo paese significa, appunto, essere ritenuti portatori di una testimonianza, ma non essere considerati come possibili portatori di una visione della società e del mondo che possa in qualche modo essere presa sul serio. Io credo che i protestanti non protestino. I protestanti propongono un certo modo di vivere la cittadinanza, sottolineano con forza che bisogna essere persone capaci e responsabili nei confronti del bene comune, hanno proposte culturali significative, che rappresentano anche in Italia quello che di meglio ha prodotto la cultura protestante a livello europeo, sia in campo filosofico, sia nel diritto, nella ricerca sociologica. Il protestantesimo, culturalmente, non è affatto minoritario. Anzi, la stessa cultura cattolica e la stessa cultura laica hanno preso a piene mani le riflessioni, gli studi, le proposte che sono venute dalla Germania o dalla Gran Bretagna e hanno tentato di trovare una formula che permettesse a queste di tradursi nella nostra realtà. Da questo punto di vista, io rifiuto la categoria di quelli che dicono “i protestanti sono quelli che protestano”. No. I protestanti hanno una loro visione del mondo e pongono al centro una lettura dell’essere umano che richiede una certa radicalità, rifiuta i compromessi e si propone di far crescere le persone acquisendo capacità intellettuali, critiche, non essendo mai succubi a nessun potere, ma sempre pronti a intervenire con il proprio corpo e con le proprie idee là dove si esige di essere seri, responsabili, presenti, capaci di rispondere ai bisogni della società.

Venerdì 17 febbraio il Concistoro di Pinerolo ha organizzato una tavola rotonda su sviluppo locale, nuove progettualità e nuovi bisogni. Quale contributo si intende dare, e ricevere, con questa iniziativa?

Pinerolo è un po’ un luogo di frontiera fra la realtà delle Valli valdesi e la realtà del mondo, tra quella che è la dimensione dove la chiesa valdese è più presente, dall’alta montagna, fino alla collina. Pinerolo è il luogo dove si incontra innanzitutto la chiesa cattolica, ma anche le realtà produttive più significative del territorio.

La chiesa di Pinerolo ha voluto esercitare la sua vocazione di responsabilità, nel tentativo di aprire un dialogo con quelle realtà presenti sul confine, sulla frontiera e che riguardano il mondo produttivo e imprenditoriale. Da alcuni anni lavoriamo in modo molto convinto, sincero, onesto con la diocesi di Pinerolo, non solo cercando di rilanciare il dialogo e il confronto su quelli che sono i punti più importanti della nostra comune confessione di fede, ma anche sulle difficoltà che oggi il discorso ecumenico incontra, o collaborando su iniziative rivolte a persone in difficoltà. Questa volta abbiamo deciso di mettere a confronto le domande, le richieste, le analisi, le esigenze e i dubbi di chi lavora nel sociale, nelle scuole, nella sanità, di chi lavora là dove si prestano servizi alle cittadine e ai cittadini. In dialogo con la moderatora della chiesa valdese Alessandra Trotta e con il presidente della Commissione sindacale per la diaconia (CSD-Diaconia valdese), pastore Francesco Sciotto. È interessante che i dirigenti della nostra chiesa possano avere una interlocuzione diretta non solo con i referenti politici sul territorio, ma anche con chi quotidianamente su questo territorio si trova a dover affrontare tutta una serie di problemi. Un territorio sempre più marginalizzato, dove le questioni e le problematiche si sovrappongono, dove manca secondo me una visione globale capace di proiettarsi nella complessità delle dinamiche economiche, politiche, sociali e culturali di questo mondo. L’intento è quello di disegnare insieme un mondo nuovo, un altro mondo possibile, e dall’altra parte di richiamare le chiese alla loro responsabilità profetica, per la giustizia sociale e la libertà delle persone. Perché quando tu sei povero, quando tu sei marginale, quando tu sfuggi alle correnti di questo mondo che si muove, rischi di perdere le libertà.

Appuntamento al tempio di Pinerolo, venerdì 17 febbraio dalle 17 alle 18,30, per l’incontro “Sviluppo locale, bisogni, nuove progettualità, sinergie: quale ruolo per la Chiesa Valdese e la sua Diaconia?”.

Da Nev-Notizie evangeliche

Foto di Pietro Romeo