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Pacifismi a confronto

Una partecipata serata pubblica ha delineato ieri sera i possibili diversi sguardi sul pacifismo, una serata nella quale si è parlato di guerre e di pace, nella quale sono state scandagliate le molteplici sfaccettature dei conflitti in corso nel mondo e sono emersi scenari diversi, sono state fatte alcune proposte. 

«Ciò che oggi sta accadendo in Ucraina può esser definito solamente con una parola: invasione – così ha esordito la prima ospite, la giornalista e inviata di guerra Francesca Mannocchi -. Non è una guerra, infatti, è un combattimento che si consuma in un solo paese. Dove  i civili sono colpiti dalle bombe in un solo paese. La diplomazia in campo per contrastare questo combattimento è dunque del tutto nuova. Immaginare di chiedere un’azione di pace o di resa al popolo ucraino è davvero possibile?». 

Queste sono alcune osservazioni e domande che la giornalista ha posto al gremito pubblico presente nel Tempio valdese di Torre Pellice (To). 

«La guerra dietro casa, quella in Ucraina, non è una guerra – ha proseguito Mannocchi –, dunque è necessario interrogarci sul significato della parola pace. Possiamo davvero chiedere al popolo ucraino, distrutto, ferito, affaticato, di sedersi e applicare una pratica nonviolenta? Di negoziare? Un negoziato fatto poi su quali basi? Possiamo chiederle di aprire le porte ad una massiccia invasione territoriale? Esiste una via alternativa al combattimento? Al momento i negoziati sono stati fallimentari. Anche le parole sono importanti. Il popolo ucraino afferma di difendersi, non di combattere una guerra che non è una guerra ma una invasione. Noi come dobbiamo porci di fronte a queste considerazioni? L’attuale situazione in Ucraina ha scardinato i principi fondamentali, ha modificato la narrazione giornalistica, ha provocato nuove faglie all’interno di movimenti politici che non si riconoscono più in posizioni che una volta sembravano essere monolitiche. Sino allo scorso 23 febbraio. Questo conflitto e a questi morti dobbiamo rispetto e il nostro silenzio. Morti e sopravvissuti meritano il nostro impegno, quello almeno di riflettere; di riflettere sulle parole che usiamo […]». 

Una foto dell’ottobre 1983 a Comiso ha aperto l’intervento di Massimo Aprile. Tra i ritratti, anche il pastore Piero Bensi, che in quel corteo disse: «ho visto passare evangelici per otto minuti»; l’occasione era una manifestazione per la pace e contro la dislocazione dei missili. Già, perché «la macchina della guerra funziona 24 su 24 e a noi tocca protestare 24 ore su 24 –  ha rimarcato il pastore Aprile citando uno striscione di allora –, citando poi un recente ordine del giorno battista sul conflitto in Ucraina. 

Aprile partendo da un testo del pastore Peter Ciaccio, focalizza la discussione sul tema armi; su quanto le chiese negli Usa, da una parte siano propense a difendere l’uso delle armi e di altre che, invece, esprimono la più dura condanna sul loro commercio e utilizzo. «Cristo – ha ricordato Aprile – non è solo il nostro compagno di viaggio, bensì è colui che ci sta trasformando internamente. Cristo non è una nostra protesi. Oggi noi abbiamo un compito preciso anche quando parliamo di pace». 

Già perché anche fare la pace non è facile, Nicoletta Dentico, già direttora di Medici senza frontiere, attivista di Mani tese e da tempo impegnata nel sociale per i diritti umani, «credente, tra i credenti e per questo emozionata – ha esordito ieri sera Dentico -. Impegnarsi a vent’anni per la pace con il mondo delle chiese, della società civile, delle organizzazioni, fu il mio modo di essere credente. Quando parliamo di guerra crediamo che la guerra sia solo quella delle armi, la guerra invece è dentro il modello che governa il mondo, dentro l’economia che governa il mondo e dentro quattro secoli di globalizzazione. Non sono anche queste guerre, dichiarazioni di guerra all’umanità stessa? […]». Dopo il lungo intervento Dentico ha concluso: «Questo è il tempo della conta degli anni che ci restano per vivere su questo pianeta; oppure è il tempo di cambiare rotta, di prevenire altri possibili disastri». 

Come uomo di chiesa si è invece espresso il teologo valdese Fulvio Ferrario sollecitato dal direttore di Confronti, Claudio Paravati. «Una cosa ecclesiale e protestante che possiamo dire è questa: il nostro fallimento è quello di non aver ragionato in termini preventivi. E la fede cristiana – ha proseguito Ferrario – di questo è consapevole e ritiene che ci sia una ragione radicale. Uno dei testi più belli del Novecento, la dichiarazione teologica di Barmen al punto 5 parla del mondo irredento. Un mondo brutto, un mondo contradditorio. La nostra responsabilità e la nostra fallibilità è comprensibile proprio perché viviamo in un mondo non ancora redento. Dunque, viviamo al cospetto del fallimento. I modi cristiani della chiesa e delle fedi di vivere la guerra e la pace sono sempre stati tre: la fede cristiana annuncia e vive nell’attesa del Regno di Dio e che dunque sarà alternativo a questo mondo. Se ne occupino dunque i pagani. Visione apocalittica. La seconda posizione afferma che noi credenti dobbiamo farci carico dello spessore della storia, sino a quando non giungerà il Regno. La pace, dunque, si costruisce attraverso una pratica politica che rinuncia alla violenza. Martin Luther King. La terza posizione ritiene che sia inevitabile il compito di garantire la pace anche mediante la violenza e la forza. Oggi preferiamo usare l’espressione “pace giusta”. L’uso militare è preso in considerazione dalla pace giusta come una variante […]». 

La serata, che è stata arricchita dall’esecuzione di alcuni brani a cura del gruppo musicale del Ministero musicale dell’Unione cristiana evangelca battista d’Italia (Ucebi), si è conclusa con gli interventi e i saluti del presidente dell’Ucebi, Giovani Arcidiacono, e della moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta

Guarda e ascolta la serata cliccando qui https://www.youtube.com/watch?v=f2DhW0Pb-jM