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Adolescenti e rischio digitale

 

Non ho figli. Ma per età, se li avessi, oggi avrebbero al massimo vent’anni.

Gli amici e le persone che conosco e frequento per vicinanza generazionale i figli ce li hanno, e mi passano sotto gli occhi di frequente. Lavoro in radio da quasi vent’anni e anche lì, quotidianamente, mi interfaccio con le storie e le voci di genitori e figli, in macchina assieme mentre tornano a casa, o quando alcuni di loro vanno a fare sport – intendo i figli – mentre mamme e papà aspettano in un parcheggio o ne approfittano per fare la spesa, per poi rientrare la sera tra resoconti della giornata, pagelle, interrogazioni, questioni di vestiti nuovi, uscite il sabato sera o nuove ossessioni su Youtube TikTok

Quello che sto per condividere è frutto di un personale – e dunque parziale – osservatorio sugli adolescenti e sul loro rapporto con i relativi genitori. Non esprimerò nessun giudizio, ma qualche perplessità sì. E soprattutto mi porrò qualche domanda rigorosamente aperta, non avendo – come ho già detto – prole, né tantomeno risposte pronte. 

L’elemento che sottopongo è la diffusione enorme del mondo digitale, del mondo social, con le sue nuove regole, gli smartphone come portale di accesso alla conoscenza e alle relazioni con gli altri e con il mondo, e come fino ad ora ne abbiamo sottovalutato o ignorato l’incidenza. 

Gli adolescenti stanno abbastanza male, a leggere i dati di psicoterapeuti e psicologi, a chiedere ai centri di psichiatria. C’è un’altissima diffusione di malesseri come i disturbi alimentari, quelli dell’attenzione, il rifiuto di uscire dalla propria stanza (hikikomori), a volte anche autolesionismo e tentati suicidi. Abituati come siamo a cercare colpevoli prima e piuttosto che fare autocritica, abbiamo pensato alla pandemia, al Covid stesso, alla Dad, alla scuola. Lasciando fuori ciò che invece è sempre dentro alla loro vita: lo smartphone. 

La velocità con cui le nuove tecnologie si impongono, ci coinvolgono e ci cambiano i comportamenti è tale da non riuscire a prenderne davvero coscienza. Solo ora cominciano a essere pubblicati i primi studi sugli effetti degli algoritmi sul nostro cervello, ma intanto, come ci regoliamo? O meglio, lo stiamo facendo? 

In una vacanza di qualche mese fa, mi ero imposto di non usare i social per almeno 48 ore, ma di far caso alle volte in cui, vista anche la distensione dei ritmi di vita vacanzieri, avrei avuto la tentazione di aprire Instagram TikTok, e “scrollare”, ovvero farmi un giro tra i profili suggeriti, quelli che seguo, e i contenuti più recenti o più visti. 

Ebbene. Io, adulto consapevole di 45 anni, ho avuto l’istinto di prendere lo smartphone in mano circa venti volte al giorno! In quel caso, ogni volta, ho rimesso giù il telefono. Ma altrimenti, mi sono chiesto, quanto tempo sto in modo inconsapevole sui social nella vita quotidiana? Quanto spesso, dopo aver risposto a una mail di lavoro o a un WhatsApp nella chat di famiglia o del condominio, corro ad aprire un’app (Instagram? Tinder? Facebook? ) per controllare i like che ha ricevuto il mio ultimo post, o i match ottenuti, o per commentare con rabbia istintiva l’ennesima notizia, data in tre righe in modo superficiale e sensazionalistico? Quanto questo influisce su concentrazione, stato di ansia, invidia sociale, sensazione di non farcela, desiderio per ciò che non ho e non sono, senso di inadeguatezza, paura del presente e del domani?

Ecco, ora torniamo ai nostri – si fa per dire, sono i vostri – figli adolescenti. O preadolescenti. Se l’effetto dei socialsu un adulto come me, tutto sommato strutturato, può essere così grande, quanto più lo sarà su un giovane, proprio nel momento della vita in cui è più che mai in cerca della sua identità?

Ecco perché credo serva una riflessione innanzitutto su e di noi adulti e il nostro modo di starci su questi social, sulle nostre derive giovanilistiche dei selfie con i filtri o dei balletti su TikTok che non sono niente di male in sé, sia chiaro, ma forse per ruolo dovremmo piuttosto cercare di capire i meccanismi e gli interessi che pur ci sono dietro a questi fenomeni. E l’incidenza che hanno sulla psicologia evolutiva dei più giovani. Sul loro modo di sognare, di desiderare, di guardarsi, di scoprire se stessi e gli altri. Sarà un caso che la classe media espone i figli a 8 ore quotidiane davanti agli schermi, mentre ai figli dei manager della Silicon Valley, coloro che i social li hanno inventati e li sviluppano, l’uso dei device[dispositivi elettronici]sia limitatissimo, quando non addirittura vietato?