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La sanatoria mancata

Sul finire della primavera del 2020, in piena emergenza coronavirus, il secondo governo Conte, allora in carica, accolse la richiesta di operare un’ampia regolarizzazione dei lavoratori stranieri presenti in Italia. La cosiddetta “sanatoria” invitava datori di lavoro e lavoratori stessi a presentare domanda dal 1° giugno al 15 agosto di quell’anno affinché, in tempi rapidi, molte persone presenti sul territorio ottenessero finalmente un permesso di soggiorno.

La notizia ebbe un notevole impatto nel corso dell’estate, per poi sparire quasi completamente dai radar, sia politici che mediatici. Per questo la trasmissione Cominciamo Bene su RBE ha deciso di tornare sul tema, con un’intervista a Francesco Mason, avvocato che con ASGI e Erostraniero ha monitorato l’iniziativa governativa.

«L’idea, che di per sé era assolutamente apprezzabile» ha riepilogato Mason «era di permettere a un numero elevato di lavoratori che sono già in Italia e avevano un rapporto di lavoro (o la possibilità di instaurarlo) di regolarizzare la propria situazione». L’idea veniva portata avanti anche considerando la situazione sanitaria, «che richiedeva di facilitare l’accesso alle cure e ai vaccini. La proposta era giunta dagli attori economici, sia datoriali che sindacali. Nel maggio 2020 venne presa in carico dal governo. Circa 240mila persone avrebbero poi risposto all’offerta; si tratta quindi di uno strumento che era necessario, che però poi, nella pratica, si è dimostrato inadeguato rispetto agli stessi scopi per cui era stato emanato».

«Elencare tutti i problemi che sono emersi necessiterebbe di un tempo molto lungo» specifica Mason (qui, per chi volesse, un’analisi più dettagliata). Ma per comprendere l’entità della questione «basta un dato: siamo a gennaio del 2022 e ha ottenuto un permesso di soggiorno il 13% di coloro che hanno presentato la domanda. L’87% sta ancora attendendo una risposta. Nel frattempo queste persone rimangono in un limbo giuridico, perché il ministero non ha ancora chiarito se abbiano diritto a cambiare lavoro, rispetto a quello per cui hanno presentato domanda. Perciò c’erano persone che lavoravano e che ora non possono più lavorare, proprio perché hanno fatto domanda di emersione».

Inoltre, in questo modo è stato totalmente mancato uno degli obiettivi principali dell’iniziativa, ovvero quello di basarsi sulle posizioni emerse tramite la sanatoria per raggiungere, con rapidità, il maggior numero di persone con cure, farmaci e vaccini e nel complesso per monitorare al meglio la pandemia. Evidentemente, non è andata così.

Mason ha poi ricordato che proprio in questi giorni è caduto un altro appuntamento importante nell’ambito della gestione del lavoro dall’estero. Il 27 gennaio è stato infatti il “click day”, «ovvero la data in cui i datori di lavoro possono presentare le domande per chiedere di poter occupare un lavoratore che risiede all’estero». Si tratta di uno strumento previsto dal decreto flussi, «una procedura strutturale, non emergenziale, che però ha anche questa dei limiti grossissimi, perché parte dall’idea che, per poter occupare un lavoratore, questo si trovi all’estero. È evidente che una procedura del genere è anacronistica: l’incontro tra domanda e offerta di lavoro avviene sul territorio italiano».

Questa procedura è quindi diventata, in sostanza, «un modo per regolarizzare, con una trafila lunghissima, rapporti di lavoro già in essere». I requisiti, inoltre, sono molto stringenti: i numeri sono limitati e non sono coinvolti tutti i settori economici, né tutte le nazionalità. Perciò chi proviene da determinati paesi non ha nemmeno la lontana possibilità di poterne usufruire. «Si dice che è la lotteria del decreto flussi», spiega bene Mason. «Questo significa che continuerà ad esserci un numero elevato di stranieri in Italia che non riescono ad avere un permesso di soggiorno e quindi ad accedere a tutti i servizi a cui avrebbero diritto. «Ci andrebbe – conclude poi Mason, tirando le somme – un approccio realistico, che prenda in considerazione il fatto che queste persone esistono, sono in Italia, lavorano, sono integrate. Servirebbe uno strumento di regolarizzazione molto semplice: basterebbe prevedere una norma che permetta al lavoratore che è già qui di ottenere un permesso di soggiorno. Diamo al lavoratore la possibilità di emergere».

Un appello semplice, eppure distante anni luce dal discorso politico.

 

Foto di Radio Alfa