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Fiducia nella tecnologia

Che cos’è la tecnologia? Se ci fermiamo sul concetto generale, la domanda può trascinarci in gironi filosofici troppo complessi. Ma anche se stringiamo il campo e ci chiediamo “qual è il settore economico della tecnologia?”, la risposta si fa confusa, come forse non lo sarebbe stata fino a un paio di decenni fa.

Il tema emerge dall’ultima edizione dell’Edelman Trust Barometer, un sondaggio internazionale che valuta la fiducia dei cittadini intervistati nei confronti di una grande varietà di enti ed istituzioni. Un capitolo è dedicato ai settori industriali ed è proprio qui che la tecnologia trova il primo posto in classifica, di fronte a educazione, sanità e manifattura (meriterebbe una discussione a parte l’inserimento di educazione e sanità tra le industrie, ma forse si spiega con lo sguardo statunitense di Edelman). Questa grande fiducia nella tecnologia vale già di per sé un’analisi, a cui arriviamo tra poco, ma intanto bisogna notare che, nella stessa classifica, i social media sono invece all’ultimo posto. Un risultato almeno in parte paradossale: dove sono i social media, se non all’interno della tecnologia? Da qui si torna alla domanda iniziale, perché sembra che stia diventando sempre meno chiaro che si intenda con questo titolo. Come fa notare Quartz: tecnologia è tanto Facebook (e quindi il campo dei social media), quanto Netflix (qui siamo nell’intrattenimento) o Robinhood, una app usata per fare trading online (qualcosa che sì, esiste in virtù della tecnologia, ma che ricade allo stesso modo sotto l’ombrello della finanza).

Ma questo cortocircuito di significato non è l’unico paradosso che emerge dal sondaggio. Tra il 2012 e il 2020, questo stesso rapporto e altri analoghi avevano visto l’opposto, ovvero un progressivo calo di fiducia verso gli attori di questo ambito. Da dove arriva quindi l’impennata del 2021? Una possibile risposta è tanto scontata quando insindacabile: la pandemia (e tutto ciò che è stato messo in piedi per contrastarla) ha reso la tecnologia ancora più cruciale in ogni aspetto della nostra vita, perciò è naturale che i nostri sentimenti in proposito siano cambiati. Ma bisogna considerare che il 2021 è stato un anno particolare anche da altri punti di vista.

Come notano diversi osservatori, l’anno passato sembra aver segnato un deciso cambio di passo di stati e istituzioni nel loro confronto con le grandi aziende tecnologiche (ovvero le “Big Tech”). Dopo anni di contrasto tiepido, se non invece di supporto convinto, ora il fronte sembra farsi più compatto. L’Unione Europea è già da tempo la più decisa, tra i principali attori internazionali, nel ridurre lo strapotere di queste grandi aziende, e nel corso dell’anno passato ha messo a punto nuove regole che ora potrebbero incidere significativamente. In questo ambito spicca, secondo la Cnbc, l’Italia, in cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (che in genere chiamiamo Antitrust) ha comminato pesanti multe a diversi attori nel corso dell’anno.

Ma anche gli Stati Uniti intendono ora prendere di testa la questione, sebbene il ritardo sia forse grave, mentre la Cina, che ha già un rapporto decisamente singolare nell’ambito delle attività virtuali, si sta muovendo in modo simile all’Occidente per quanto riguarda alcuni ambiti, come la regolarizzazione dei gig workers (i lavoratori occasionali legati ad app, come quelle per la consegna di cibo a domicilio). Insomma, ci sarebbero tutte le premesse per un ulteriore calo di fiducia. Ma non è quello che emerge.

Da un lato, c’è da considerare che l’azione governativa non corrisponde necessariamente al sentimento dei singoli cittadini. C’è anche, come si diceva, la fumosità del settore: posso essere, ad esempio, molto sospettoso per come Facebook gestisce i miei dati, ma allo stesso tempo avere fiducia che quegli spazi funzionino nel tenermi in contatto con persone lontane. Però esiste anche un altro fattore: le aziende non stanno subendo i contraccolpi istituzionali standosene con le mani in mano. Sia i grandi che i piccoli operatori del settore hanno aumentato la propria spesa di lobbying (l’attività di influenza della sfera politica e sociale), per una spesa complessiva in questo senso calcolata a 21 milioni di dollari in più, nel 2021, rispetto al 2020. Può essere che questa spesa abbia prodotto dei risultati.

Il 2022 si apre con un nuovo terreno di scontro. Microsoft ha annunciato l’acquisto per 75 miliardi di dollari del colosso dei videogiochi Activision Blizzard, operazione che non è passata inosservata ai regolatori della concorrenza. Le autorità statunitensi sono chiamate a far fede alle promesse di maggior controllo rispetto alle attività delle grandi aziende tecnologiche. A prescindere dall’esito finale, gli effetti si faranno sentire a lungo.