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Il giornalismo è malato

Che il giornalismo non fosse in «buona salute», ne avevamo il sentore. Ora, ne siamo certi.

Implacabile è arrivato il Rapporto che ne scandaglia vizi, difetti e virtù.

La terza edizione dell’Osservatorio sul giornalismo pubblicato dall’Agcom (l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) è stata dedicata alla professione giornalistica messa a dura prova dell’emergenza Covid-19.

«Durante l’emergenza Covid-19 – ricorda il Rapporto dell’Agcom – tre quarti dei giornalisti italiani (73%), si sono imbattuti in casi di disinformazione: il 78% di questi almeno una volta a settimana, mentre il 22%, addirittura una volta al giorno. La maggior parte della disinformazione ha viaggiato su fonti online non tradizionali (social, motori di ricerca, sistemi di messaggistica)».

Dati che mergono dall’ultimo Rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo «La professione alla prova dell’emergenza Covid-19».

La copertura informativa dell’emergenza, conferma il Rapporto, «ha rappresentato una sfida rilevante per lo status professionale di chi si occupa della produzione di notizie, ovvero i giornalisti, già alle prese con l’ascesa delle piattaforme online come intermediari dell’informazione e con la circolazione di contenuti di disinformazione».

Dal rapporto emergono alcuni dati inquietanti: l’invecchiamento progressivo della popolazione giornalistica e lo squilibrio tra giornalisti contrattualizzati e giornalisti freelance ormai arrivati al 40% della categoria, con una differenza profonda e strutturale del reddito.

Il 44,5% dei freelance e il 49,7% dei co.co.co. hanno un reddito annuo «sotto i 5.000 euro».

La precarietà della condizione lavorativa – si legge nel rapporto – «è evidente soprattutto nelle nuove testate (quelle esclusivamente digitali), che raccolgono la gran parte dei giovani professionisti, caratterizzate da un modello organizzativo fondato su una struttura redazionale snella e un ampio ricorso a collaborazioni con soggetti freelance».

Per quanto riguarda il lavoro giornalistico nella prima fase della pandemia emerge dal rapporto che, «il 51,8% della popolazione giornalistica, sia stata chiamata a svolgere il proprio lavoro in smart working».

Il rapporto conferma che oggi vi è la necessità di «investire in ristrutturazioni delle aziende editoriali, atte a impiegare in maniera stabile il personale giornalistico e a diminuire il ritiro di molti professionisti verso il lavoro freelance».

L’indagine dell’Agcom che ha coinvolto la scorsa estate molti professionisti dell’informazione fa emergere altri dati preoccupanti. 

«Quasi 9 giornalisti su 10 hanno fatto ricorso a fonti istituzionali piuttosto che a riscontri diretti». Eppure, ciò non sembra aver avuto un impatto negativo sui lettori, «riguardo le notizie relative agli aspetti sanitari – si legge – in 7 casi su 10 i cittadini si sono detti soddisfatti delle informazioni ricevute».

Pur con importanti eccezioni, si è registrata una generalizzata difficoltà delle redazioni a misurarsi tecnicamente con linguaggi e specifiche esigenze dell’informazione di carattere medico-scientifico, «“delegando”, di fatto, a istituzioni ed esperti il compito di informare direttamente i cittadini; nonché di certificare autorevolezza e qualità dell’informazione in materia».

Non è certamente una bella fotografia per la nostra professione.

L’Autorità garante intende ora avanzare proposte al Governo con l’obiettivo di tutelare e rinnovare l’informazione giornalistica in Italia.

 

Foto di BrAt_PiKaChU via Istock