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Fototessere 6: pentecostale perché cristiano

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio Ferrario e Gabriella Caramore: uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi.

 

Vito Tambone, nato a Bari il 18 aprile 1935 in una famiglia cattolica, scopre la realtà di Dio a14 anni nella chiesa pentecostale di Bari. A 18 frequenta la Scuola biblica di Roma, a 20 inizia il ministero a Genova, poi a Torino dove sposa Sara Fornara, pentecostale di Roma, che gli darà 5 figli e gli sarà di grande aiuto nel ministero. Insieme decidono, per ispirazione divina, di andare a evangelizzare in Sardegna, terra a loro sconosciuta. Iniziano nel 1957 completamente soli, senza alcun punto di appoggio. Affittano un alloggetto dove cominciano le riunioni. Tra mille difficoltà (diffidenza dell’ambiente, persecuzione del clero, problemi economici), ma incrollabile fiducia in Dio e nella potenza della sua Parola, l’Evangelo conquista molti cuori, con un gran numero di conversioni. Dopo 11 anni di predicazione e preghiera, a Quartu Sant’Elena nasce una chiesa pentecostale e viene costruito un tempio evangelico. Sull’onda di questa evangelizzazione nascono alcune altre chiese. Nel 1969 il ministero di Vito e Sara prosegue in Puglia, ad Andria e a Corato, e anche qui è benedetto da molte conversioni. Oltre a un grande tempio ad Andria, viene creato, a Corato, la Casa di riposo «Eben-Ezer» (I Samuele 7, 12).

– Lei è un pastore pentecostale a riposo. Per quanti anni ha esercitato il ministero? E dove?

«Ho esercitato il ministero pastorale per 62 anni a Genova, Torino, poi in Sardegna, a Quartu S. Elena, infine a Corato e Andria. Ovunque il Signore ci ha dato grazia di fondare chiese ed edificare locali di culto, oltre alla Casa di riposo “Eben-Ezer” di Corato, edificata e gestita per 40 anni. Ho anche celebrato 262 matrimoni».

– È nato in una famiglia di credenti oppure lei ha scoperto la fede evangelica fuori dalla famiglia?

«I miei genitori erano cattolici non praticanti, troppo impegnati a sopravvivere in tempo di guerra, dimenticarono di farmi fare comunione e cresima. Una sera (avevo 14 anni), mentre andavo al cinema, non ricordo come, mi ritrovai nel locale di culto pentecostale di Bari, in un seminterrato: lì iniziò la mia scoperta della fede evangelica».

– Com’è avvenuta la sua conversione? Che cosa dell’Evangelo ha così afferrato il suo cuore da cambiare la sua vita?

«In quel locale venni attratto dal modo in cui un anziano predicava il Vangelo: parole che afferrarono il mio cuore e sconvolsero la mia vita. Successivamente, mi immersi nella lettura della Bibbia dove venni afferrato dall’amore di Dio e dalla sua grazia».

– Come è nata in lei la vocazione e decisione di diventare pastore?

«Frequentando le riunioni di preghiera in una casa, un giorno venni immerso in qualcosa di sublime, finché ricevetti il battesimo dello Spirito Santo, come narrato in Atti 2. Da allora ho iniziato a sentire un forte desiderio di servire Dio (ora posso dire che era l’inizio della mia vocazione), ma non sapevo che cosa fare, finché una sera venne al culto un missionario americano. La chiesa era gremita di persone. La sua predicazione faceva vibrare i cuori. Al termine della predicazione scese dal pulpito, venne proprio verso di me, mi abbracciò e mi disse che sentiva da parte del Signore che sarei stato un servitore di Dio. A Roma frequentai la scuola biblica dove decisi di consacrare la mia vita al Signore. Mesi dopo, gli anziani del movimento pentecostale mi ordinarono pastore e nel 1955 mi affidarono la cura della chiesa di Genova. Avevo 20 anni».

– Lei è stato un instancabile evangelizzatore a partire dal dopoguerra, nel tempo della grande espansione del movimento pentecostale in Italia, con la creazione di centinaia e centinaia di Comunità. Ci racconti una o due esperienze fatte in questo campo?

«Da Genova venni trasferito a Torino e nel 1957 mi sposai con Sara Fornara, di una famiglia pentecostale di Roma. Poco dopo il Signore ci fece sentire di andare in missione in Sardegna: nell’autunno del ’57 eravamo a Quartu Sant’Elena: due giovani, in terra sconosciuta, nessuna chiesa, un campo tutto da lavorare, ma con la consapevolezza e la gioia che Signore era con noi. Iniziammo la missione nella nostra casa in affitto e il Signore cominciò a manifestarsi con “segni, prodigi e miracoli”. Ricordo ancora con emozione e gratitudine a Dio di quella bambina malata di anemia mediterranea. Pregammo per lei con l’unzione dell’olio (cfr. Giacomo). La sera seguente, la mamma ci raccontò dello stupore del medico quando vide la bambina (ora è nonna) perfettamente guarita, chiedendole a quale santo si fosse rivolta! Negli 11 anni passati in Sardegna, abbiamo edificato un tempio a Quartu S. Elena e aperto locali di culto a Cagliari, Arbus, e iniziato varie missioni nelle case. Abbiamo tenuto riunioni evangelistiche nelle piazze e con una tenda. Malgrado l’ostilità del clero che incitava dei ragazzi a disturbare i culti, molte persone accettavano l’Evangelo, venivano guarite e liberate».

– So che sua moglie è stata un prezioso aiuto nell’esercizio del suo ministero. In che modo?

«Sara, è stata per me più di una moglie, è stata una amica, una saggia consigliera e sempre collaborativa. Visitava le famiglie disagiate, aiutandole nelle difficoltà e parlando loro di Gesù. Si dedicava alla scuola domenicale, presiedeva spesso le riunioni di culto dove suonava l’organo. È stata per me di grande aiuto ministeriale, oltre che essere mamma di cinque figli». 

– I pentecostali, in generale, non sono molto propensi all’ecumenismo, cioè all’incontro e al dialogo con altri cristiani. Secondo lei, come si spiega questo fenomeno? E lei che cosa pensa dell’ecumenismo?

«I pentecostali, in genere, non sono favorevoli all’ecumenismo forse perché temono di essere coinvolti in dottrine fuorvianti. Personalmente ho sempre intrattenuto rapporti fraterni con servitori di Dio di altre chiese, ricevendone sempre un grande beneficio spirituale. È necessario aprirsi ad altri cristiani se vuoi crescere spiritualmente».

– Come vede, oggi, la situazione del cristianesimo in Italia?

«Non tanto bene, ma con una grande speranza. Non tanto bene, perché vedo spesso confusione, chiese e ministeri talvolta improvvisati, predicazioni “impotenti”, chiese di leader e non di umili servitori, culti simili a spettacoli di intrattenimento. Ma anche una grande speranza. Perché vi sono cristiani sinceri, che pregano e leggono la Bibbia, che amano il Signore e sono di buona testimonianza. Sì, ho una grande speranza, perché questi credenti sono la forza della chiesa nei quali arde il fuoco dello Spirito».

– Come spiegherebbe, a uno che non lo sa, che cosa significhi essere cristiano e che cosa significhi essere pentecostale?

«Spiegherei i due significati rispettivamente con due versi biblici, il primo, “non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me” (Gal 2, 20) e il secondo, “ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, allora mi sarete testimoni…” (Atti 1, 8). Un pensiero finale: io non sono un cristiano pentecostale, ma sono un pentecostale perché sono cristiano».