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Siamo i nodi di una rete

Cura, persone, memorie e territori: la serata di ieri, martedì 25 agosto, ha ben incarnato le parole chiave del sottotitolo della rassegna “Generazioni e rigenerazioni”, riunendo enti e progetti apparentemente disparati, e invece legati da un filo rosso evidenziato dalla moderatrice della serata, Laura Turchi, membro della Tavola valdese.

L’attenzione alla fruibilità del maggior numero di persone di un bene, un territorio, un’esperienza, accomuna per esempio i progetti dell’Ufficio Beni culturali, del Museo valdese, del Ciss.

Valorizzare un patrimonio e farlo conoscere significa renderlo più fruibile, osserva Turchi, e questo obiettivo è alla base dei progetti dell’Ufficio Beni culturali della Tavola valdese, il portale che da alcuni anni mette a disposizione il catalogo dei beni delle chiese metodiste e valdesi, e più di recente la creazione di alcuni percorsi di visita virtuali, per ora su Torino e Milano, per offrire (ha spiegato la responsabile Sara Rivoira) «uno sguardo inedito sulle città» e far scoprire la presenza protestante (valdese e metodista, ma non solo), e magari qualche chicca – un tempio metodista nella centralissima via Lagrange a Torino, o una cioccolateria valdese in una delle piazze più note di Firenze.

Rendere fruibile e sempre più accessibile il proprio patrimonio è anche l’obiettivo del Museo valdese di Torre Pellice, che attraverso la collaborazione con il Servizio Comunicazione aumentativa alternativa (Caa) della Diaconia valdese, da sei anni si preoccupa di facilitare l’accesso alle persone con disabilità, attraverso l’uso della Caa, un sistema di comunicazione basato su immagini e simboli. «Far sentire tutti ben accolti», racconta Nicoletta Favout, responsabile dell’area educativa (ufficio Il Barba), è l’intento del progetto “Apriti Museo!” che ha portato a un ripensamento del percorso di visita, nello sforzo di tradurre i contenuti del museo in immagini, un po’ più facile per la parte etnografica, ricca di oggetti concreti, meno immediato per la parte storica, dove abbondano concetti astratti. Questo lavoro, osserva Favout, ha dato modo a chi lavora nel museo di mettersi nei panni di chi, diversamente abile o anche semplicemente straniero (Favout ha citato l’alto numero di visitatori sud coreani che erano previsti per quest’anno, un centinaio, purtroppo bloccati dalla pandemia), può trovarsi smarrito di fronte a un testo che non capisce.

Questo “calarsi nei panni degli altri”, che sta alla base dell’accoglienza e accessibilità, è lo spirito di altre due esperienze legate al mondo della disabilità, portate da Nives Danieli del Ciss (Consorzio intercomunale dei servizi sociali) di Pinerolo e dal preside del Collegio valdese, Marco Fraschia.

Danieli ha citato alcuni progetti che coinvolgono i centri diurni non soltanto dell’area pinerolese, a dimostrazione dell’importanza del concetto di rete (parola ricorrente durante la serata): dalla Rete nazionale di montagnaterapia (che, ha ricordato Danieli, non va intesa come cura da una malattia, ma un “prendersi cura”, di sé e degli altri), a “Officina Monviso”, l’iniziativa del Consorzio Monviso solidale che da alcuni anni organizza trekking rivolti a persone con disabilità da tutto il Piemonte, a “Insieme lentamente”, il progetto del Ciss, attuato insieme al Cai Uget val Pellice, con cui collabora da 4 anni, che ha portato alla creazione di due itinerari, uno lungo il torrente Pellice (ancora da inaugurare ufficialmente) e uno che collega i 7 km dalle Sonagliette ai Piani, tra Angrogna e Prarostino. Con un’apposita segnaletica (una mattonella con il disegno di una coccinella) i ragazzi e le ragazze del Ciss hanno “testato” e risegnalato, con l’aiuto del Club alpino, questo percorso praticabile anche da chi, come alcuni di loro, è su una carrozzella. La loro forza e l’entusiasmo contagioso, portati dalle testimonianze video e durante la serata, ci hanno fatto capire che la vera disabilità è quella di chi non vuole mettersi in gioco, di chi non si apre all’esperienza della conoscenza dell’altro. Come ha concluso Nives Danieli, «la montagna non divide, unisce».

Sui temi della disabilità, dell’accessibilità e dell’inclusione, peraltro centrali nella storia dell’istituto, hanno lavorato nell’ultimo anno scolastico anche al Collegio valdese, racconta il preside Marco Fraschia, presentando il cortometraggio realizzato dai ragazzi con la regista Anna Giampiccoli. Empatia, questo il titolo dell’emozionante filmato, si è candidato all’HandiFilmFestival di Rabat, in Marocco (ne avevamo accennato qui) al quale avrebbe dovuto partecipare in aprile. In attesa di una nuova data per il festival, il filmato viene proiettato e fatto conoscere in occasioni come quella di ieri sera, portando il suo bel messaggio: chiudendo gli occhi, si può vedere davvero.

E infine (ma forse è più corretto dire innanzitutto), la fondamentale importanza di fare rete, emersa in modo eclatante nel periodo del Covid: parola chiave in tutte le esperienze sopra citate, ha permesso la realizzazione dei due progetti che hanno concluso la serata. Parlando nella doppia veste di coordinatore della Commissione Musica del Primo Distretto e di membro del concistoro della chiesa valdese di Bobbio Pellice, Marco Poët ha presentato due video, rispettivamente la “corale virtuale” e il progetto del Podio.

Quest’ultimo (ne abbiamo parlato qui) ha coinvolto diversi enti, dal Cai al Centro culturale valdese, al Comitato Luoghi storici, oltre ovviamente al Comune e alla chiesa di Bobbio, in un itinerario accessibile a tutti (ecco che torna il tema dell’accessibilità e dell’inclusione) in cui si mescolano storia e natura.

L’altra iniziativa, sbocciata in modo informale nel momento più buio del lockdown (ne abbiamo parlato qui) ha portato al canto dell’inno 207, l’antica complainte valdese sui dieci comandamenti, e ha voluto essere un modo per essere presenti, almeno in modo “virtuale”, come corale, una delle componenti del culto di apertura del Sinodo. Il video (visibile qui) non include solo il canto ma anche un commento della moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta, la quale ha ricordato che è a «un popolo sfiduciato», che rimpiange persino il tempo della schiavitù in Egitto, che Dio affida i dieci comandamenti nel viaggio verso la Terra promessa, luogo dell’impegno «a spendere generosamente i propri talenti per contribuire a costruire uno spazio di vita pacifica e prospera, […] uno spazio di libertà e responsabilità, inclusivo e aperto».

Ricordando l’importanza teologica e storica del “patto” (da quello del 1561 al Patto di Integrazione fra le chiese valdesi e metodiste), ha richiamato l’impegno a «camminare insieme, sostenersi reciprocamente, condividere risorse e talenti, decidere insieme […] in vista del bene comune»: una missione che ben si presta a commentare il senso di tutta la serata.