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La Francia condannata per illecita espulsione di minori stranieri non accompagnati

«Questo è un vecchio caso, che rimane però del tutto attuale», ha riferito al giornale francese La-Croix un avvocato che ha familiarità con la vicenda in questione. «È un giudizio estremamente duro – forse anche di gravità mai vista prima – ma coerente con la gravità delle violazioni riscontrate», ha aggiunto David Rohi, responsabile delle politiche di detenzione per la Cimade, la storica associazione francese di sostegno alle persone migranti, nata in seno alle chiese protestanti d’oltralpe. In una sentenza pronunciata il 25 giugno, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha effettivamente dichiarato la Francia colpevole di otto violazioni della Convenzione europea sui diritti umani in un caso di espulsione di minori non accompagnati dal proprio territorio.

I fatti risalgono al 13 novembre 2013. In quel giorno, due giovani abitanti delle isole Comore, a sud est del continente africano, di 5 e 3 anni, si imbarcano su un gommone per unirsi al padre che vive in una situazione regolare nelle non lontane isole di Mayotte che invece sono un dipartimento d’oltremare francese, quindi formalmente parte dell’Unione europea. Viaggiano da soli, tra un gruppo di adulti. Arrivando sulla costa francese, i passeggeri vengono arrestati e messi in detenzione amministrativa prima di essere restituiti lo stesso giorno alle Comore. Per risparmiare tempo, la polizia non ha verificato l’identità dei bambini né ha cercato di capire cosa poteva accadere loro se fossero tornati nel loro paese di origine. Si accontentano amministrativamente di “congiungerli” a uno degli adulti che avevano viaggiato con loro e che non era né il loro padre né la loro madre, poiché solo un adulto può ricevere un ordine di espulsione.

Secondo le norme internazionali relative all’accoglienza dei minori, è vietato mettere i bambini in stato di detenzione quando non sono accompagnati da almeno uno dei loro genitori. È inoltre vietato espellerli in queste condizioni. Avvisate dal padre, diverse associazioni hanno quindi agito davanti alla giustizia francese. Rigettati dal Consiglio di Stato, si sono rivolti alla giustizia europea che alla fine li ha ascoltati.

«Il tribunale è convinto che il congiungimento dei due bambini a un adulto non sia stato effettuato al fine di preservare l’interesse superiore dei bambini, ma al fine di consentire la loro rapida espulsione nelle Comore. Il loro collocamento in detenzione ha creato una situazione di stress e ansia che potrebbe avere conseguenze particolarmente traumatiche per la loro psiche. Le autorità francesi non sono riuscite a garantire che i bambini fossero effettivamente curati e non hanno tenuto conto della situazione che avrebbero potuto incontrare al loro ritorno nel loro paese di origine», scrivono i giudici. Per questo, hanno condannato la Francia per otto violazioni della Convenzione europea sui diritti umani e per «trattamenti inumani e degradanti».

Questa severità metterà fine a tali pratiche? A rigor di termini, sono già stati compiuti progressi. In effetti, una legge del 2016 rende la custodia dei bambini soli come un fatto eccezionale. Almeno sulla carta. Perché, in assenza di una reale volontà politica, le pratiche sul campo non sono cambiate, deplorano a una sola voce le associazioni specializzate. Nel 2018, il Difensore dei Diritti francese, una carica amministrativa indipendente che dal 2011 ha lo scopo di difendere i cittadini e i loro diritti, ha contato 208 bambini detenuti nella Francia metropolitana e 1.221 a Mayotte, la maggior parte dei quali non aveva genitori al proprio fianco.

«O sono bambini arrestati quando arrivano sul territorio, o bambini che sono già lì da molto tempo e vengono collegati alla procedura di espulsione di un adulto che non è né il padre né la madre» dettaglia David Rohi. La situazione è particolarmente tesa a Mayotte, dove esiste un diritto in deroga che priva i bambini della possibilità di un ricorso davanti al giudice amministrativo. «Questo è uno dei motivi della condanna della Francia», ha detto l’attivista.

Lo Stato lo vede come un modo per frenare il flusso di migranti. Nella sua decisione, la Cedu si preoccupa anche di ricordare che è la nazione è sovrana in questa materia. Riconosce inoltre l’esistenza di significative pressioni migratorie all’estero. Ma pone anche limiti alle prerogative dello Stato, ricordando che non può violare i diritti umani o il diritto di asilo.