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I credenti, le credenti e le loro responsabilità

L’esigenza di tutela della salute pubblica e la necessità di salvaguardare l’esercizio delle pratiche religiose nell’Italia della pandemia hanno fatto sviluppare, all’inizio della settimana scorsa, un dibattito destinato a proseguire anche quando, speriamo in tempi non troppo lunghi, il Covid-19 sarà alle nostre spalle, e che va anche al di là dell’emergenza. Soprattutto da parte della Conferenza episcopale si era levata la protesta per la limitazione della ripresa delle attività ecclesiastiche pubbliche ai soli funerali, e non alle messe; esistono tuttavia anche altre confessioni religiose, benché pochi ne tengano conto.

Il pensiero generalmente diffuso da parte delle chiese e dei singoli è che sia doveroso collaborare al perseguimento e mantenimento della salute pubblica. Tuttavia è comprensibile lo sconcerto di chi ha visto sottotraccia, nella non-menzione delle attività di culto, un “sentire diffuso” secondo il quale la vita di fede di uomini e donne del nostro tempo sarebbe una variabile di scarsa rilevanza. Eppure le chiese, tutte, molto stanno facendo per collaborare alla gestione dell’emergenza e dell’assistenza.

I problemi sono diversi: dal rapporto fra confessione di maggioranza e minoranze religiose, che è un problema anche politico, ai problemi teologici del valore dei sacramenti, della ritualità e del concetto di locale di culto.

Sarebbe ingeneroso imputare all’attuale esecutivo una trascuratezza nei confronti della spiritualità cristiana. Abbiamo visto troppi altri governi porre attenzione alle chiese in maniera del tutto strumentale ed elettoralistica. Ma forse i credenti stessi non riescono più a esprimere la loro fede e passano, agli occhi dei loro contemporanei, come brave persone d’altri tempi. Alle Chiese, tutte, compete di far sentire la propria voce di fronte alle Istituzioni (al momento in cui scriviamo, sappiamo essere in agenda un incontro oggi 5 maggio, presso il ministero dell’Interno, con i rappresentanti delle minoranze religiose proprio per discutere di come avviare un processo che porti alla ripresa delle attività ecclesiastiche “pubbliche”) ma tutti e tutte noi dobbiamo chiederci se non possiamo fare di più per dire ai nostri contemporanei che credere in Gesù Cristo significa qualcosa di forte, che non ci abbandona neanche nell’ora dell’emergenza.