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Il ’68 alla radice di ogni male morale?

C’è voluto un po’, ma alla fine il covo dal quale il demonio sparge il proprio veleno nel mondo e persino nella Chiesa cattolica è stato individuato: si tratta del ‘68 e della sua pestilenziale eredità. Dissolvendo tutti i criteri morali e promuovendo l’espulsione di Dio dal discorso pubblico e dalla vita anche delle cristiane e dei cristiani, il Sessantotto ha dato la stura a una deriva morale della quale la pedofilia costituisce una delle manifestazioni più ripugnanti. La Chiesa cattolica (delle altre si parla solo allusivamente, come vedremo) si è in parte conformata alla mentalità di questo secolo (e anche del precedente, certo…), senza Dio, senza fede, senza Bibbia, senza morale (perché non dà retta all’autorità della Chiesa cattolica stessa, la quale, invece, detiene tutto quanto) e ora ne paga il prezzo.

Sembra la requisitoria di un Jorge da Burgos (il bibliotecario de Il nome della rosa) del XXI secolo e invece è Benedetto XVI, che presenta le sue riflessioni (autorizzate, a quanto pare, dal successore) sulla tragedia della pedofilia nella Chiesa cattolica, pubblicate in Italia dal Corriere della Sera. Si tratta di un testo davvero particolare, nel quale si trova un po’ di tutto; analisi sulla secolarizzazione dell’Occidente, discussioni sullla fondazione biblica o filosofica dell’etica (un problema, peraltro, che non sono certo occupi i primi posti nelle riflessioni di un pedofilo), denuncia degli stupri perpetrati da questo o quel sacerdote, che mentre fa violenza pronuncia in chiave blasfema le parole eucaristiche. In questo coacervo di argomentazioni in tono apocalittico, ci sono persino affermazioni che, in diverso contesto e altrimenti articolate, potrebbero essere anche condivise: la scristianizzazione occidentale costituisce motivo di angoscia per tutte le chiese; e chi legge la Bibbia sa che la prospettiva apocalittica costituisce una chiave di lettura che non può essere ridicolizzata, anche se va chiamata in causa con prudenza infinita, cosa che Benedetto, decisamente, in questa occasione non fa.

Senza entrare nei dettagli delle avventurose argomentazioni del papa emerito, esprimo stupore nei confronti della datazione dell’inizio della catastrofe. Il Male si scatena a partire dal ‘68, il che pare significare che prima le cose andassero meglio. Non c’erano pedofili? O forse non se ne parlava? La seconda domanda non pare sfiorare l’autore del documento. Egli afferma che la Costituzione tedesca varata nell’immediato dopoguerra menziona una responsabilità davanti a Dio, mentre la Costituzione europea non lo fa. Colpa del ‘68, naturalmente. Ma prima del 1945, per dire, in Germania, o in Italia, andava tutto bene? Dio era onorato? I valori umani rispettati? E le chiese non si erano adeguate alla mentalità del secolo? Che santità e peccato, complicità e martirio, si intreccino, nelle chiese, anche da prima del famigerato ‘68, sembra essere un’idea dalla quale Benedetto nemmeno è sfiorato.

C’è poi, all’inizio del terzo paragrafo, una bordata contro le chiese della Riforma: «Dobbiamo creare un’altra chiesa, perché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento è già stato fatto ed è già fallito». Non è importante, in questa sede, contestare la caratterizzazione della Riforma come tentativo di creare un’altra chiesa, anche se dispiace udirla da Ratzinger, che in altre occasioni si era mostrato un avversario acuto del protestantesimo e, in qualche caso, persino un interprete dal quale imparare (penso al suo discorso di Erfurt nel settembre 2011). L’amaro in bocca nasce dal sospetto che, dietro tutti i salamelecchi ecumenici, questa sia la convinzione profonda dell’interlocutore cattolico (per non parlare di altri): che la Riforma sia il tentativo, fallito, di costituire una chiesa «altra» da quella di Gesù Cristo. Ma chissà, forse anche questo sospetto è opera del demonio e conseguenza del ‘68.

Qualcuno ipotizza invece che il testo vada letto in tutt’altra chiave, cioè come arma da utilizzare nella faida rusticana in corso nella Chiesa cattolica tra «franceschisti» e «antifranceschisti». Si tratterebbe, cioè, di una critica implicita a un certo «liberalismo» del papa in carica (non ho mai capito in che cosa consisterebbe, ma molti lo rilevano e alcuni lo deprecano) e di una chiamata alle armi dei duri e puri. In tal caso, sono da attendersi repliche da parte, per così dire, progressista. Ci sentiamo alla prossima puntata.