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Anche la solidarietà ha un costo

Come molte organizzazioni non governative, anche l’Entraide protestante svizzera (Eper) ha dovuto affrontare nel 2018 un contesto difficile. A fronte di circa 59 milioni di euro di entrate, al di sotto delle aspettative, le spese si sono aggirate sui 66 milioni, e questo ha comportato da parte dell’Eper la necessità di ricalibrare le priorità e i progetti per l’anno in corso e per il 2020.

Lo si legge nel comunicato stampa diffuso dalla stessa Eper il 26 marzo scorso, in cui si ricorda che l’organizzazione nel 2018 ha condotto circa 300 progetti in 32 paesi (oltre alla Svizzera) in quattro continenti, portando un miglioramento delle condizioni di vita di più di un milione di persone, colpite da catastrofi ambientali o da guerre. Sul suolo svizzero sono stati investiti quasi 23 milioni di euro, fra progetti di integrazione di persone socialmente svantaggiate, sostegno alle pratiche legali dei richiedenti asilo, rifugiati o altre persone bisognose.

Ma quali sono le cause della crisi? L’Eper individua principalmente due condizioni, innanzitutto il contesto sempre più esigente in cui si muovono le organizzazioni umanitarie svizzere (e non solo quelle, possiamo aggiungere), in un contesto globale segnato dalla pressione economica e dall’aumento della concorrenza. Parallelamente, i contributi istituzionali e i doni sono in diminuzione, e questo ha reso necessario per l’Entraide attingere a quasi 7 milioni delle proprie riserve finanziarie per poter sostenere i progetti nazionali e internazionali.

Tra i principali contributori dell’Eper, le chiese (a livello cantonale e locale) e le organizzazioni ecclesiastiche contribuiscono per il 20%; il 23%, proviene dal settore pubblico (Confederazione, cantoni e comuni); i cinque uffici regionali della Svizzera tedesca e la sede centrale forniscono il 25%; i privati la sostengono per il 17%, mentre la fondazione benefica Chaîne du Bonheur per il 5%.

Nell’ottica di un ridimensionamento delle spese e dunque dei progetti, l’Eper ha deciso di chiudere quelli in Moldavia e Zimbabwe, e ridimensionare quelli in Colombia e Israele/Palestina concentrandosi sulla trasformazione dei conflitti. Il Consiglio e la direzione hanno anche deciso alcuni mesi fa, ma indipendentemente dalla situazione, di cessare la propria attività in India, uno dei primi paesi in cui l’Eper si è impegnata, ormai diversi decenni fa. In questo caso non è un segno di resa, ma nell’ottica del principio perseguito dall’Entraide, di guidare verso l’autonomia le persone aiutate, l’Eper ha deciso di “ritirarsi” per incoraggiare l’assunzione di responsabilità dei suoi partner.

Per quanto riguarda il territorio svizzero, infine, l’intenzione è di mantenere tutte le attività, riducendo alcuni costi di gestione dei progetti ma senza tagliare i servizi; solamente alcuni progetti nella Svizzera tedesca saranno ridotti. È prevista anche una riduzione del personale, soprattutto nei settori dell’amministrazione e comunicazione.

 

Foto: via Pixabay