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In Spagna due pesi e due misure

Lo scorso maggio, la Conferenza delle chiese europee (Kek), con la sua delegata Elizabeta Kitanovic, segretaria esecutiva del Dipartimento dei Diritti Umani, è stata ospite del tempio protestante di Calle Tallers a Barcellona, in Spagna, ​​per girare un video, momento finale di un intenso lavoro per dare voce all’ingiustizia che i pastori evangelici vivono per mano dello stato spagnolo.

La Chiesa Evangelica Spagnola (Iee) da anni combatte per tentare di risolvere un problema che da sempre ha incontrato scarsa rispondenza da parte dello Stato centrale: alcune dichiarazioni individuali di supporto o poco più, e ancor meno è stato l’interesse internazionale: una degna pensione per i pastori in emeritazione e per le vedove dei pastori defunti.

Nel 1977, durante la transizione dalla dittatura alla democrazia, lo Stato ha consentito alla Chiesa cattolica l’accesso ai benefici della “Seguridad Social”, le misure di welfare sul modello degli impiegati statali, così da consentire un regime pensionistico al clero, ma questo diritto è stato negato, ripetutamente, ai pastori protestanti, almeno fino al 1999.

Quella della Iee è stata una lotta costante per superare tale impasse nei tribunali spagnoli, in forum europei, nel tentativo di rendere giustizia a quegli uomini e donne che avevano dedicato la loro vita a svolgere un ruolo che le leggi non gli riconoscevano fino in fondo.

Tutto questo sforzo è culminato con una decisione favorevole, nel 2012, presso la Corte dei diritti umani di Strasburgo,nel caso del pastore Francisco Manzanas Martín. Questa sentenza ha condannato lo Stato spagnolo per aver violato i diritti di uguaglianza e di non discriminazione, nonché il diritto alla libertà religiosa,  diritti umani fondamentali per tutte e tutti.

Nonostante tale sentenza, lo Stato spagnolo ha continuato a mettere i bastoni tra le ruote non rendendo esecutiva la sentenza di Strasburgo e costringendo così l’Iee a continuare a pagare  da un lato per le pensioni e  dall’altro per le spese processuali dei ricorsi in corso, perché la giustizia non può abbandonare coloro che lo Stato non vuole proteggere. Questo prendere tempo rappresenta una negazione sistematica dei diritti, e rappresenta un onere di non poco conto per le casse della Chiesa evangelica spagnola, creata nel 1869 dall’unione di chiese luterane, presbiteriane, metodiste e congregazionaliste e che al momento conta circa 3 mila membri di chiesa.

Ora dunque la Kek si è unita alle richieste dei riformati iberici e ha realizzato un video in cui viene presentato il problema: l’ingiustizia che stanno vivendo le chiese evangeliche in un paese apparentemente secolarizzato e con ampia libertà religiosa. Il video è stato presentato in anteprima durante l’Assemblea della Kek dello scorso giugno a Novi Sad, in Serbia, colpendo a tal punto i delegati presenti da motivare una immediata lettera di richiesta di informazioni rivolta al governo di Madrid, che ha risposto come sempre in questi 40 anni: «ci stiamo lavorando».

Cliccando qui si può vedere il link.

Non è stato l’unica azione che ha causato il video: le chiese di Scozia, Olanda, Italia, Germania e Francia stanno invadendo le ambasciate spagnole nei loro paesi di richieste affinché sia risolta l’annosa questione.

Anni di lotte e di lavoro, chiedendo una giustizia che non è ancora arrivata. Mentre i pastori e le loro vedove stanno morendo, lo stato non risolve ancora una chiara e manifesta violazione dei diritti umani di una minoranza religiosa. Ma oggi per lo meno, con il contributo delle chiese protestanti europee il tema ha trovato un’eco profonda e forte.