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Scisma nel mondo ortodosso?

«Decisione catastrofica», «una situazione senza precedenti». E ancora: «Una rottura che porterà a qualcosa di catastrofico».

Le parole di Alexander Volkov, segretario stampa del patriarca ortodosso di Russia Kirill, appaiono drammatiche. Quale è il motivo di tanto astio e rivolto a chi?

Ieri 11 ottobre il patriarcato di Costantinopoli, riunito nel concilio dei vescovi guidato dal patriarca ecumenico Bartolomeo, ha confermato di voler procedere con la concessione dell’autocefalia (autonomia) alla Chiesa ortodossa ucraina, al momento parte del più ampio patriarcato di Mosca.

E’ stata in sostanza revocata la validità della lettera sinodale del 1686 che concedeva al patriarca di Mosca la nomina del metropolita di Kiev.

Una scelta che appare politica più che dettata da motivazioni religiose. Il conflitto in corso fra Ucraina e Russia, ultimo e al momento più doloroso tassello del processo di disgregazione post sovietico, ha accentuato tensioni e rivendicazioni già in essere. Se Mosca e Kiev sono in guerra, per i vertici politici ucraini diventa insopportabile un controllo russo sulle chiese; da qui la richiesta di autonomia più volte espressa negli anni. Ma l’Ucraina è per il patriarcato di Mosca un grande serbatoio di sacerdoti, di chiese e di fedeli. L’occupazione russa della Crimea e delle regioni orientali ucraine, le migliaia di vittime, gli sfollati interni, con una popolazione stretta fra incudine e martello non hanno fatto che accentuare un processo in corso. La Russia non vuole perdere un grammo del suo peso, e la chiesa ortodossa è la longa manus del Cremlino in terra oggi nemica.

E poi a chi spetta una simile decisione sull’autonomia di una chiesa?

Il patriarca di Costantinopoli è storicamente il primus inter pares tra i leader ortodossi ma sono i confini del suo potere ad essere oggi in discussione. A lui spetta presiedere ogni concilio di vescovi ed è in pratica il portavoce della intera comunione ortodossa.

Ma il peso carismatico di tale carica è messo in discussione dai numeri: il patriarcato di Costantinopoli conta oggi meno di cinquemila fedeli in Turchia e tre milioni nella diaspora, mentre il patriarcato di Mosca annovera almeno cento milioni di fedeli, poco meno della metà dell’intera popolazione ortodossa mondiale, e finanzia a piene mani le varie chiese ortodosse nel mondo, dalla Francia alla Bulgaria agli Stati Uniti.

Le tensioni covano sotto la cenere da tempo: da chi far dipendere le varie diaspore e a chi spettano decisioni sulle autocefalie sono ovviamente questioni rilevanti.

Bartolomeo è accusato da Mosca di eccessivo accentramento di potere, ma i russi oggi forse rimpiangono di non aver preso parte al concilio panortodosso del 2016, il primo dopo quasi 1200 anni. Era quello il luogo in cui tentare di districare varie matasse, e forse di pesare le varie forze in campo, ponendo in questione eventualmente il tema delle prerogative dell’autocefalia (che dopo l’anno 1000 la chiesa ortodossa tende a attribuire ad ogni propria chiesa nata in seno ad una nazione, per cui quella ucraina è una scelta che si inserisce in un filone esistente).

Kirill è strettamente legato a Putin, mentre il presidente ucraino Poroshenko ha fatto dell’autonomia della chiesa ucraina uno dei punti cardine del proprio mandato in scadenza nella prossima primavera. La disputa è dunque soprattutto politica, ma nel mondo ortodosso non bisogna sottovalutare l’importanza della forma, il gioco dei pesi e dei contrappesi.

Gli organismi internazionali ecumenici, Consiglio ecumenico delle chiese in testa, appaiono assenti in questi anni di dialoghi mancati, di tensioni crescenti. Non sono stati in grado di proporsi quale luogo terzo per le discussioni e le trattative.

Ora per la prima volta il mondo ortodosso è di fronte ad uno scisma probabilmente senza precedenti, le cui conseguenze politiche e religiose appaiono al momento di difficile lettura.

La Russia, allora Rus’, divenne ortodossa quando il principe Vladimir nel 988 comprese che per gestire l’ampio regno che si estendeva dall’Ucraina e la Polonia fino agli Urali, e la cui capitale era Kiev, fosse necessario imporre una sola religione in sostituzione delle varie credenze politeiste e animiste presenti al momento.

La leggenda narra che Vladimir inviò degli emissari a prendere informazioni riguardo le principali religioni: l’islam, l’ebraismo e il cristianesimo. Il primo venne scartato, racconta il mito, perché il Corano vieta il consumo di alcolici, mentre «il bere è il più grande piacere dei russi» secondo il principe, che passerà alla storia come Vladimir il Santo. Anche l’ebraismo non passò il vaglio perché la questione del popolo disperso nella diaspora parve a Vladimir un segnale della cattiva predisposizione di Dio nei confronti del popolo ebraico. I delegati parlarono assai male di Roma, data la fredda accoglienza dimostrata dal papa, mentre raccontarono meraviglie di Costantinopoli e della fede ortodossa. La scelta fu quindi logica. In realtà le motivazioni furono certamente di natura politica, dal momento che Kiev, collocata in posizione geografia strategica, da tempo intratteneva relazioni con l’Impero bizantino. La città divenne una provincia ecclesiastica sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.

Saranno le razzie delle popolazioni tartaro-mongole e le guerre interne per le successioni a portare al tracollo della Rus’ attorno alla metà del XIII secolo. Kiev è devastata. I vertici religiosi ortodossi fuggono e cercano rifugio in varie città, fino a stabilirsi a Mosca, che era stata fondata solo nel 1147 e il cui Granducato si stava rivelando l’unico in grado di contrastare le scorribande delle stirpi asiatiche. L’influenza dell’attuale capitale russa cresce nei secoli e con la caduta di Costantinopoli nel 1453 ad opera degli ottomani Mosca si propone come la “Terza Roma”, dopo la prima, papista, e la seconda, sul Bosforo, finita in mano islamica.

La chiesa ortodossa russa assume lo stato di autocefalia, cioè di autonomia, nel 1448, e nel 1589 diventa Patriarcato, con l’influenza su tutta l’area, compresa l’Ucraina. I cui vescovi però, fra Mosca e Roma in buona parte scelgono la seconda: sono gli “uniati”, le chiese di rito orientale in comunione con la chiesa cattolica, e oggi ferventi supporter del nazionalismo ucraino.

La situazione rimane sostanzialmente immutata fino agli anni dell’impero sovietico: la chiesa ortodossa Ucraina è un esarcato legato al Patriarcato di Mosca. Autonoma quindi, ma non troppo. Con la caduta dell’Urss emergono tutte le tensioni geopolitiche dell’area, con varie nazioni che ottengono l’indipendenza e al contempo richiedono un’autonomia anche nelle istituzioni religiose.  

Il caso più eclatante è proprio quello ucraino. Nel 1991 la chiesa ortodossa si spacca in tre parti: la prima, più numerosa, rimane fedele a Mosca e nel 2017 poteva contare in tutto il paese su oltre 11 mila chiese e 12 mila comunità. La seconda, quella oggetti degli strali attuali di Volkov, cioè il Patriarcato di Kiev viene creata nel 1992 dall’allora metropolita Filarete, oggi primate della Chiesa ortodossa Ucraina (circa 4 mila chiese e 5 mila comunità censite). La terza, la Chiesa autocefala ucraina, ha un’influenza minore e ha già espresso volontà di rientrare nei ranghi della neonata chiesa ortodossa ucraina.