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Le radici oscure dell’America

Nel cinquantenario della morte di Martin Luther King, tra i molti temi affrontati c’è stato il lungo percorso che ha portato gli afroamericani dalla schiavitù alla segregazione a una difficile integrazione. Si è tornato a parlare di una scomoda eredità, di un passato oscuro, si è rievocata la lotta abolizionista, la cosiddetta «ferrovia sotterranea», rete segreta di collaboratori (e collaboratrici!), spesso ex-schiavi, che riuscì a guidare decine di migliaia di persone verso la libertà. E ancora, il contrasto fra il «nord» progressista delle città e il «sud» schiavista delle piantagioni, una distinzione superficiale che nasconde una realtà assai più complessa.

A rendere viva e a trasformare l’espressione metaforica «ferrovia sotterranea» in una realtà di cunicoli scavati da mani invisibili, stazioni ricavate sotto le cantine di pittoreschi e commoventi personaggi, locomotive sferraglianti e sbuffanti, ci ha pensato Colson Whitehead, vincitore del Premio Pulitzer (2017) e del National Book Award (2016), con il romanzo La Ferrovia sotterranea, storia appassionante di una schiava, Cora, che attraversa alcuni Stati (Georgia, Carolina del Sud, Carolina del Nord, Tennessee, Indiana, procedendo infine verso Missouri e California) verso la libertà: una sorta di Capanna dello zio Tom in versione moderna e decisamente pulp, pulsante di lacrime e sangue.

Diversi critici concordano sul fatto che, più che rappresentare (ammesso che un romanzo possa farlo) la realtà storica, Whitehead l’abbia trasfigurata, portandola ad assumere un significato metaforico, fuori dal tempo. «Guardate fuori, e vedrete il vero volto dell’America» dice Lumbly, il primo capostazione incontrato da Cora (p. 90), ed è un po’ il refrain che la protagonista porta dentro di sé nel suo viaggio. Ma che cosa si può vedere dal treno in una galleria perennemente oscura? Questo è il punto.

La rappresentazione di una ferrovia reale, scavata nelle viscere della terra, sembra richiamare la necessità di scavare nell’interiorità più nascosta dell’America, nel suo inconscio, per poterla capire fino in fondo. I collegamenti misteriosi, le tratte create come per magia, che non si sa dove finiscono, le stazioni «sigillate» quando diventano rischiose, sembrano le sinapsi di un grande cervello, estranee al controllo di chi lo possiede. La ferrovia è però anche una sorta di rito di passaggio: «A un capo della linea c’è la persona che eri prima di scendere sotto terra, all’altro capo viene alla luce una persona nuova» (p. 371).

Sotterraneo come la ferrovia è anche il bagaglio di insicurezza, rabbia repressa, violenza, che lo schiavismo porta con sé e che emerge in tutti gli scenari che si presentano al lettore: dall’inferno della piantagione dei Randall, luogo di perversione e sadismo; al «mondo nuovo» della Carolina del Sud, che rivela i suoi tratti inquietanti e il suo essere un Purgatorio sotto la maschera di una conquistata libertà (con le campagne di sterilizzazione femminile più o meno forzata o gli esperimenti sulla sifilide compiuti su uomini ignari, che storicamente vanno collocati nel Novecento); e infine all’utopia della fattoria dei Valentine, la nuova America dove libertà è «una comunità di persone lavorano sodo per ottenere qualcosa di bello e di raro» (p. 355). Ma il viaggio dall’Inferno al Paradiso non è lineare, c’è sempre il rischio di tornare nello scenario terrificante che condensa il peggio di un regime totalitario: bande di cacciatori di taglie e ronde armate fuori controllo, delazioni di figli verso i genitori, di mogli verso i mariti, punizioni sanguinose che colpiscono intere famiglie per aver tentato di fuggire o di aiutare i fuggiaschi.

Significativamente, una delle repressioni più feroci riguarda la lettura: non solo è proibita, ma è punita la semplice dimostrazione di saper leggere. Ecco quindi che la libertà passa anche, e prima di tutto, dallo spazio conquistato per sé, per decifrare la Parola e le parole: la Bibbia, il libro su cui si impara a leggere e da cui si trae forza, I viaggi di Gulliver, con cui il grande viaggio comincia, L’ultimo dei Mohicani, attraverso il quale Cora prende coscienza della tragedia del continente: una terra coltivata da schiavi dopo essere stata strappata con il sangue ai suoi abitanti.