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Il ’68 da leggere e da ascoltare

Nuovo articolo della serie dedicata al 1968 nelle chiese evangeliche italiane. Dopo Marco Rostan sulla stagione dei manifesti e dei volantini, dopo il direttore del Servizio Cristiano di Riesi Gianluca Fiusco sul ’68 in Sicilia, dopo Renato Maiocchi su Agape, dopo Aldo Comba e il ricordo del Sinodo del 1968, dopo i ricordi del pastore Giorgio Bouchard sull’esperienza del Centro Lombardini di Cinisello Balsamo, dopo il presidente dell’Ucebi, l’Unione cristiana evangelica battista in Italia, Giovanni Arcidiacono,  con la memoria ai fermenti internazionali e nazionali di quel periodo, dopo Gianna Urizio, che ci ha ricordato che il 1968 fu prima di tutto un fenomeno globale, oggi è il turno di Alberto Corsani con una panoramica sulle riviste, sulle pubblicazioni e sulle trasmissioni radiofoniche evangeliche di quel tempo. Buona lettura. 

 

Claudiana

Per più di un aspetto nelle chiese evangeliche italiane il ‘68 è iniziato prima e, come racconta Giorgio Bouchard a proposito di Cinisello Balsamo, si è concretizzato maggiormente «dopo». Un’avvisaglia ci viene proprio da un suo scritto. Nel marzo del 1968 infatti l’editrice Claudiana manda in stampa, nella collana «Attualità protestante», Il dialogo fra cristiani e marxisti da un punto di vista protestante: ma il fascicolo riproduce il testo di una conferenza che il past. Bouchard aveva tenuto a Genova-Sampierdarena nel novembre 1967, dunque si avvertiva che qualcosa stava per avvenire. Altri titoli della fortunata collana sono significativi: Giorgio Rochat, La guerra, oggi (esce a maggio); Mario Tassoni – Aldo Comba, La nonviolenza (id.); Gustavo A. Comba, A vent’anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo (luglio); e poi, ma siamo già nell’ottobre del 1969, Claudio Tron, La protesta giovanile, che ovviamente dedica un paragrafo alla protesta nella chiesa; rifacendosi al numero speciale della rivista Diakonia sulla contestazione (ott.-dic. 1968), l’autore pone la questione del culto, di cui abbiamo già parlato in queste pagine, e cita: La comunità vive non per partecipare al culto, ma “per l’annuncio della Parola, per il servizio che si esprime nell’incontrare il prossimo nei suoi reali problemi, che realizza la comunione fraterna”» [grassetto nel testo citato da Diakonia, ndr].

Culto Radio

Il culto si esprimeva anche via radio, e rifletteva, magari in maniera un po’ indiretta, gli echi della politica internazionale e dell’impegno dei singoli, condiviso o meno. Nelle predicazioni per il Culto evangelico si coglie ora l’incertezza, ora l’adesione alle lotte nel mondo, ora la volontà di ribadire la priorità dell’Evangelo rispetto alle lotte particolari. Atteggiamenti, tutti legittimi e tutti animati dal desiderio di predicare via radio al nostro paese. Così il messaggio di domenica 25 agosto (data di apertura del Sinodo), il messaggio del pastore valdese Ernesto Ayassot, predicando sulla parabola della zizzania e del buon seme (Matteo 13), avverte del pericolo che alcuni, «nella fretta di anticipare il giudizio di Dio, anzi di sostituirsi ad esso, facendosene interpreti e strumenti» finiscano per «rovinare “il buon grano” ossia, secondo l’espressione di Gesù di far danno ai “figlioli del Regno”».

Il 22 settembre il pastore battista Paolo Marziale, partendo dal testo di Deuteronomio 8, relativo alla terra promessa e alla necessità di gratitudine verso Dio, introduce il tema della fame nel mondo, contrapposta alla ricchezza della nostra società, per concludere: «In situazioni di benessere e di agiatezza, individui e popoli possono esaltarsi, arrivando non necessariamente ad affermare che “Dio è morto”, ma arrivando a vivere come se Dio non esistesse, il che vuol dire: l’altro, individuo o popolo esiste perché mi serva e non perché io serva lui…».

Il 13 ottobre il pastore metodista Sergio Aquilante, riflettendo sul primo capitolo della I Corinzi, lamenta che la comunità cristiana pensi «che il suo compito sia di interpretare e consacrare i sentimenti buoni degli uomini, i loro valori, le loro conquiste: di recepire le esigenze degli uomini, farle sue, e dar loro un’etichetta cristiana: in una parola, di cristianizzare il mondo. In questo caso, però, la comunità cristiana non predica più il Cristo crocifisso scandalo e pazzia per gli uomini di “buona volontà”».

Rivista Protestantesimo

Non una vera e propria «presa diretta» sull’attualità, ma certo la consapevolezza che i movimenti di contestazione riflettessero un’incertezza che era anche delle chiese e nelle chiese. Da alcuni articoli di Protestantesimo, la rivista della Facoltà valdese di Teologia, il ‘68 emerge come una cartina al tornasole.

Nel terzo fascicolo della rivista trimestrale Vittorio Subilia, professore di Teologia sistematica, parte dall’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese: si è appena svolta a Uppsala (Svezia) a vent’anni dall’Assemblea fondativa di Amsterdam (1948). La sua critica è netta: le preoccupazioni, pur legittime e disinteressate, per le sorti di un mondo che avverte come mai prima le ingiustizie da cui è attraversato, rischiano di far passare in secondo piano la necessità e l’urgenza dell’annuncio evangelico. Subilia aveva licenziato da pochi mesi uno dei suoi libri più impegnativi, Tempo di confessione e di rivoluzione, nel cui titolo la «confessione» è la confessione di fede. La domanda è infatti: come testimoniare di Dio nel contesto sociale e culturale del nostro tempo? Ma anche: conta di più il rapporto che le Chiese hanno con il mondo o quello che hanno fra loro?

Critico verso le aperture ecumeniche ritenute eccessive, Subilia pone un problema: l’abbondanza di beni e un’eccessiva concentrazione della coscienza religiosa «sul proprio Dio» ha concorso a produrre la rivolta dei diseredati, sicché l’urgenza umanitaria e «la preoccupazione sociale delle cose penultime, rischiano di avere per risultato inavvertito la perdita del senso verticale, della prospettiva escatologica della fede». Egli stesso ammette: «Sarebbe del tutto ingiusto tacciare questa passione per i diritti dell’uomo di rinnegamento e di sconfessione dei diritti di Dio e non sarebbe neppure saggio (…) frenare questa protesta irreversibile di giustizia e di uguaglianza, che riecheggia certe invettive dei profeti d’Israele o certi accenti della predicazione stessa di Gesù…». E tuttavia «Prima di dire che Cristo è presente nelle situazioni, ecclesiastiche o sociali, e di accaparrarlo alle proprie cause, non bisognerebbe (…) ricordare per esempio che Cristo è stato estromesso dagli ecclesiastici del suo tempo e potrebbe forse esserlo dai ben intenzionati ecclesiastici del nostro tempo, riuniti nei loro moderni sinedri?». In definitiva, il rischio è quello di una Chiesa o di un movimento di Chiese che guardi più a se stessa che a Cristo.

Pur concordando sul problema, e soprattutto sulla perdita dello «spirito di Amsterdam 1948» a vantaggio di una confusione fra chiese ed ecclesiologie a Uppsala, Giorgio Tourn, sul numero 4, ritiene troppo severa la critica di Subilia. Il suo articolo ha anche un altro tema, riconducibile a un altro evento del 1969: la morte di Karl Barth (essa avviene in dicembre, e questo fa pensare che, come spesso per le riviste universitarie, la datazione sia sfalsata rispetto ai tempi di stampa). «Prolegomeni per una lettura critica dell’opera di Karl Barth» è infatti il titolo del saggio, che affronta la polemica su Uppsala e Amsterdam (dove rilevante fu proprio l’intervento di Barth) ma anche la ricezione che il teologo basilese ebbe nel protestantesimo italiano. Soprattutto, però, nelle parole che Tourn dedica al libro di Subilia di cui sopra, viene manifestandosi quello che è il vero fondamentale problema: «che rapporto esiste oggi nella vita e nella predicazione della Chiesa cristiana tra la predicazione e la diakonia [sic!], tra la parola e l’azione». E questo pone dinanzi a noi, oggi, due certezze: l’interrogazione sul rapporto predicazione/diaconia non è nuova, e richiede strumenti teologici per essere affrontata; e poi: l’accento che i «contestatori» posero sulla predicazione, cioè sul fondamento del nostro stare nella società, rivela che «quella» era una contestazione assennata, costruttiva e animata da una grande passione per la chiesa.

Rivista Diakonia

Sulla contestazione torna la rivista Diakonia (scritto con la -k- dalla parola biblica greca), che dedica l’ultimo numero del 1968 proprio alla contestazione nella chiesa. Un’avvertenza ai lettori, a giustificare l’aumento dell’abbonamento della pubblicazione, dice che la sua stampa passerà in offset, tecnica innovativa e migliorativa della veste. Poi inizia una carrellata sugli episodi di cui abbiamo dato conto (dal culto di Natale 1967 a Torino all’interruzione del culto a Pasqua a Roma, all’intervento al Sinodo dalla galleria): non vi ritorniamo, quindi, ma ci teniamo a sottolineare la conclusione dell’introduzione al dossier: «… non intendiamo in alcun modo raccogliere un dossier d’accusa, per un processo della chiesa ai contestatari [significativa la variazione ortografica/semantica rispetto a “contestatori”, ndr] o dei contestatari alla chiesa; intendiamo unicamente iniziare una ricerca comune alla scoperta della nostra vocazione cristiana ed è certo che se questa ricerca è condotta con spirito e discernimento ci scopriremo tutti oggetto di una contestazione radicale: quella di Cristo». È quella che cerchiamo di vivere ancora oggi.