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Cec e Chiesa metodista unita: «Filippine, rilasciate i nostri tre missionari»

 

Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) e la Chiesa metodista unita (Umc) si uniscono ai metodisti uniti delle Filippine per chiedere al governo locale l’immediato rilascio di tre giovani missionari trattenuti nel Paese.

Tawanda Chandiwana, cittadino dello Zimbabwe, è stato arrestato nel paese l’8 maggio scorso dalle autorità locali nella città di Davao e dallo scorso 4 giugno è stato trasferito in un centro di detenzione. L’accusa iniziale era: aver oltrepassato il periodo di permanenza previsto nel suo visto missionario, sebbene fosse in procinto di cambiare lo status con un visto turistico. Ora è trattenuto in carcere in quanto il suo nome risulta inserito in una lista di persone considerate dalle autorità sospette. Stessa sorte è toccata a Miracle Osmond, cittadino del Malawi, trattenuto nel paese ma non in carcere. Per Adam Shaw, cittadino statunitense, è stata ordinata l’espulsione immediata, ma non è mai arrivato il certificato di autorizzazione per l’espatrio, dunque tuttora è trattenuto nel paese.

Chandiwana, Osmond e Shaw, sono membri del programma Global Mission Fellows del United Methodist General Board of Global Ministries. Un programma per giovani adulti di tutto il mondo che dedicano due anni della loro vita al servizio missionario in paesi terzi. Il programma è coordinato insieme alle chiese partner nei paesi ospitanti, in questo caso la United Methodist Church delle Filippine.

I tre giovani missionari erano stati assegnati al “ministero” nella città di Davao dove sono finiti sotto inchiesta per le loro attività legate a tutela dei diritti umani nella provincia di General Santos. Dallo scorso febbraio erano sotto sorveglianza governativa.

Il segretario generale del Cec, Olav Fykse Tveit, ha deciso di aggiungere la sua voce alle tante richieste di rilascio giunte da parte del personale della missione.

«Il Cec – ha dichiarato Tveit – esprime allarme e sdegno per l’aggravarsi della situazione dei tre giovani, per la precaria situazione dei diritti umani nelle Filippine e per il vertiginoso aumento di violenze nella zona. Purtroppo – prosegue Tveit – questa è una situazione che segnaliamo da tempo: arresti illegali, uccisioni, deportazioni forzate su larga scala di popolazioni indigene, danni alle scuole; allarmi che lanciamo da quando venne “imposta“ la legge marziale, nel maggio 2017». In una dichiarazione del Comitato centrale pubblicata proprio la scorsa settimana, il Cec sollecitava il governo delle Filippine a porre fine alla cultura dell’impunità e di investigare sulle uccisioni indiscriminate e sommarie e, infine, di cancellare una norma che vede il ruolo degli attivisti umanitari simile a quello dei terroristi. Infine, di cancellare la legge marziale nel paese.

Nella foto la chiesa metodista di Manila, Filippine