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«Allah Akbar»?

«Era schedato dall’intelligence nell’elenco dei profili da sorvegliare», scrive oggi la Repubblica nell’articolo che riporta l’attentato avvenuto sabato sera in Francia nel riferirsi all’uomo che ha assalito con un coltello cinque persone nel centro di Parigi, uccidendo un ragazzo di ventinove anni.

«Non aveva precedenti penali, ma era nel mirino dei servizi segreti – prosegue l’articolo su repubblica.it  – come sospetto islamista. Si chiamava Khamzat Azimov. Nato nel 1997 in Cecenia, l’assalitore aveva 21 anni e aveva ottenuto la cittadinanza francese. I suoi genitori, residenti a Parigi, sono in stato di fermo. […] Secondo il procuratore anti-terrorismo François Molins, l’assalitore ha gridato “Allah Akbar”».

Siamo abituati ad articoli che per stare sulla notizia riportano informazioni frettolose, talvolta esatte e talvolta no, com’è successo con l’attentato a L’Aia e dove l’assalitore, definito terrorista islamico, in realtà non lo era.

Riportiamo l’intervista realizzata da Sabika Shah Povia per il sito Carta di Roma (della quale la Federazione delle chiese evangeliche in Italia – Fcei – è membro fondatore e siede nel direttivo) ad una testimone oculare dell’episodio, avvenuto nove giorni fa.

Lo scorso 5 maggio tre persone sono state ferite da un uomo armato di coltello a l’Aia (Olanda) vicino alla stazione. Secondo le informazioni riportate dai media italiani, l’uomo avrebbe gridato «Allah Akbar» mentre tentava di accoltellare i passanti.

Una notizia inesatta, dunque, seppur le forze dell’ordine olandesi avessero immediatamente smentito che l’aggressione potesse avere le caratteristiche di un attacco terroristico. L’uomo era già noto per i suoi disturbi psichici.

Laura Lepri, di 19 anni, è originaria di Roma studia e vive a l’Aia. Quel giorno era a qualche metro di distanza dalla persona che ha tirato fuori il coltello e aggredito i passanti.

Che cosa è successo esattamente quel giorno?

«Era la festa della liberazione (conosciuta anche come Giornata della Libertà, celebra la liberazione degli olandesi dal nazifascismo, ndr) e c’era tanta gente per strada. Io e mia madre eravamo sedute su una panchina quando un uomo ci è passato davanti a qualche metro di distanza e ha tirato fuori un coltello lanciandosi contro un passante in bicicletta».

Ti sei spaventata?

«All’inizio non ho realizzato cosa stesse accadendo. Mi sembrava una rissa tra due conoscenti, ho comunque avvisato la polizia».

Hai sentito l’uomo gridare «Allah Akbar»?

«L’uomo non ha mai gridato “Allah Akbar”. Era così vicino che se avesse detto qualsiasi cosa lo avremmo sentito. Le uniche grida che abbiamo udito erano quelle delle tre vittime».

L’attentatore era musulmano?

«Aveva uno di quei piccoli copricapo bianchi che spesso indossano gli uomini musulmani per pregare. Credo di sì».

Cos’hai pensato quando hai letto la notizia sui giornali?

«In Italia molti quotidiani nazionali hanno riportato la notizia includendo un “dettaglio”, il grido che avrebbe pronunciato quell’uomo: “Allah Akbar”. E l’hanno fatto nei titoli d’apertura. Un “dettaglio” che non è mai stato confermato. Invece, hanno omesso un fattore importante: il disturbo psichico dell’uomo, immediatamente confermato dalla polizia olandese. Credo si sia trattato di un modo di fare giornalismo poco professionale».

I giornali olandesi hanno raccontato il fatto in maniera differente?

«In Olanda i quotidiani e le testate televisive e radiofoniche non associano, quasi mai, questi atti al cosiddetto “terrorismo islamico”, se non dopo lunghe e accurate analisi dei fatti e dopo aver ottenuto le prove necessarie fornite dalle indagini. Nei giornali olandesi si è parlato principalmente di uno squilibrato che ha accoltellato tre persone».

Qual è la cosa che ti ha contrariata in questa vicenda?

«Che i giornali italiani abbiano contribuito a soffiare fuoco su un sentimento pericoloso, l’islamofobia; già troppo presente nel nostro Paese. Verso l’Islam ci sono molti pregiudizi e i musulmani, di conseguenza, sono percepiti come pericolosi. Nel caso di cronaca citato non era necessario specificare la religione o l’etnia dell’aggressore; che tra l’altro è un uomo di trentun anni e cittadino dell’Aia… È come se i giornali fossero sempre in competizione. Una gara a chi riesce a far uscire la notizia sensazionalistica per primo, anche quando non si hanno le prove, né la certezza di quel che si pubblica. Un modo di fare informazione che non tiene conto delle conseguenze. A volte, parrebbe, avviene ad esempio nel web, interessano più i click degli utenti che il diffondere una corretta informazione. Questo modo di comunicare foriero di odio e di razzismo non aiuta nessuno».

L’intervista è stata realizzata per l’Associazione Carta di Roma grazie alla collaborazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei)