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Democrazia? Libertà delle coscienze

«La democrazia non è in contrasto con le religioni, anzi, potremmo dire che “trae alimento” da fedi ideali, che possono essere anche fedi religiose. L’importante è che tra le religioni presenti in un territorio non vi sia un rapporto di sopraffazione, ossia una fede dominante a discapito di altre. In Italia, purtroppo, questa situazione esiste, e non è ancora stata risolta. Per questo motivo sarebbe necessario arrivare al più presto a una legge generale per la libertà religiosa», lo ha ricordato Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale e professore emerito all’Università di Torino, intervistato da Riforma.it in occasione del convegno, tenutosi il 16 febbraio a Torino presso la Biblioteca Nazionale Universitaria, «Religione e democrazia. A 170 anni dallo Statuti Albertino, a 80 anni dalle leggi razziali», uno degli eventi promossi dalla chiesa valdese del capoluogo pimontese, dal Centro culturale protestante, quest’anno insieme alla Comunità ebraica di Torino per ricordare le Lettere Patenti, una «festa delle libertà» per celebrare i diritti civili «concessi» nel febbraio 1848 ai valdesi e nel marzo dello stesso anno agli ebrei; e soprattutto per non dimenticare le tragiche leggi razziali che il regime fascista promulgò nel 1938.

«Religione e democrazia» è un binomio compatibile?

«Sì, anche se è complesso. Basta osservare la storia contemporanea per accorgersi che in alcuni Stati il potere civile e quello religioso sono intimamente legati l’uno all’altro. Mi riferisco ad alcuni paesi islamici, dove la religione è il fattore politico principale. La democrazia invece è il regime della libertà delle coscienze, dove sono ammessi solo alcuni principi: libertà di pensiero, di discussione e di confronto. La nostra Costituzione, purtroppo, non menziona la libertà di coscienza; eppure su questa sono state costruite le nostre civiltà. Il potersi esprimere secondo coscienza è un concetto che abbraccia tutti, credenti e non credenti. La democrazia non è la sommatoria di separazioni, bensì la democrazia vive nel dèmos, nel governo popolare democratico. Poter giungere in tempi brevi a una legge generale per la libertà religiosa e di coscienza, che dunque abbraccerebbe tutti, sarebbe una garanzia di libertà. Se venisse approvata dal Parlamento italiano, eliminerebbe quello scoglio che vede ancora religioni tollerate o ammesse, con la vigente legge sui “Culti ammessi” del 1929/30 di epoca fascista, o regolate attraverso le Intese o privilegiate, grazie al Concordato con la cattolica. Attraverso la legge quadro si giungerebbe ad un’uguale distribuzione di diritti e doveri tra tutte le parti religiose e sociali».

Oggi il quadro normativo in materia di religioni è ancora una sorta di: «si salvi chi può»?

«Il concetto fondamentale della democrazia ricorda che apparteniamo tutti e indistintamente al medesimo ambito. Nessuno in democrazia può salvare se stesso a danno degli altri. E così anche i diritti delle formazioni culturali, religiose e sociali dovrebbero essere equamente distribuiti. La democrazia è l’unità della base sociale. Ognuno in questa base può esprimere i propri pensieri, le proprie visioni, le proprie istanze culturali e religiose. L’articolo 7 della nostra Costituzione, invece, prevede una definizione giuridica concordataria con la chiesa cattolica; una situazione distinta, diversa, dalle definizioni giuridiche destinate alle altre confessioni. L’articolo 7, è dunque in contrapposizione con l’idea di democrazia paritaria».

La nostra Costituzione, oltre alla libertà di coscienza, non cita espressamente anche il principio di laicità.

«Il principio di laicità, in senso profondo, può essere inteso proprio come la libertà di coscienza. Il principio di laicità, anche se non contenuto nella nostra Carta Costituzionale, si può ricavare dalla lettura combinata di diverse disposizioni. La laicità può essere intesa come esigenza di separazione tra Stato e Chiesa, ma anche tra “ragione pubblica” e “ragione religiosa”, tra legge dello Stato e norme morali delle religioni».

A proposito di Costituzione e di parole in sessa contenute, alcuni professori universitari vorrebbero eliminare la parola «razza» dall’Articolo 3, lei cosa ne pensa?

«Sappiamo bene che i genetisti affermano che le razze non esistono e che apparteniamo tutti a una sola razza, quella umana. Un impasto di elementi genetici che nei millenni si sono mischiati in ognuno di noi. Non è possibile dividere l’umanità per razze. Però, purtroppo, esistono i razzisti.  Questo è il tema che dovremmo prendere in considerazione. Certamente come ogni norma giuridica anche la Costituzione è figlia del suo tempo e, allora, non erano state dimenticate le politiche razziali messe in atto da nazisti e fascisti. Ritengo, dunque, che sarebbe una buona cautela mantenere vivo il motivo per cui quella parola, maledetta, è stata inserita nella nostra Costituzione. In materia di razzismi, xenofobia, nulla può essere mai dato per scontato e bisogna mantenere alta l’allerta, sempre. Tutto potrebbe ritornare. Se guardiamo introno a noi l’antisemitismo è esibito ed eplicitato in tante parti d’Europa e del mondo. Oggi le ostilità si muovono su ragioni etniche e cultural-religiose. Non dimentichiamoci mai del passato, e l’unico modo per evitare altre tragedie in futuro. 

La democrazia è viva?

«La democrazia è in grave difficoltà; non tanto per i “nemici dichiarati”, ma per il grave impoverimento, interiore, che la nostra società sta attraversando. Mi domando spesso chi oggi si mobiliterebbe per difendere la democrazia? Una democrazia che ha perso vitalità, a mio avviso, per una ragione generale e che riguarda tutte le società: abbiamo perso di vista lalcune grandi categorie, che nel bene e nel male, hanno formato le nostre civiltà, banalità se vogliamo, ma che ritroviamo nel pensiero ebraico, in quello cristiano, nella filosofia greca, mi riferisco al bene e al male, al vero e al falso, al giusto e all’ingiusto. Se ci guardassimo intorno, con profondità, rimarremmo attoniti e sconcertati dalla nostra apatia, ignavia, nei confronti delle grandi ingiustizie che avvengono vicino e lontano da noi, che la televisione e i media ci raccontano. Abbiamo perso quella forza interiore che i nostri antenati avevano, senza la quale la democrazia non ha più valore. La democrazia non interessa più, oggi vince l’attaccamento a quello status squo in cui siamo immersi e che ci priva della possibilità di poter osservare le cose con una prospettiva diversa, reale. Abbiamo perso il criterio del giudizio. La democrazia dovrebbe essere il regime del confronto, del dialogo, della maturazione tra le diverse anime, un pensiero politico lungimirante e condiviso ,basato sulle grandi categorie del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del falso e del vero. Le religioni, non dogmatiche o fanatiche, potrebbero essere una giusta risposta e una risorsa per la democrazia».