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Il sogno di un mondo senza mine antipersona

Ogni anno il 4 aprile le Nazioni unite celebrano la Giornata internazionale per la sensibilizzazione sul problema delle mine. Nell’edizione 2017 a Palazzo Giustiniani, a Roma, si è tenuta la conferenza Mine action: un investimento sull’umanità, organizzata dall’associazione Campagna italiana contro le mine Onlus e dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.

Quando si pensa alle mine antipersona vengono in mente la guerra in Jugoslavia degli anni Novanta e quella in Afghanistan, cominciata nel 2001 e ancora in corso a intensità variabile, ma il problema non è affatto lontano da noi: la guerra contemporanea, infatti, minimizza le vittime militari e massimizza quelle civili proprio attraverso le “armi sporche”. «È un problema attuale – racconta Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine – anche perché insieme alle mine bisogna considerare le cluster bomb, gli ordini inesplosi e quelli improvvisati».

Quando parliamo di questo genere di armi dobbiamo sempre considerare che non sono come proiettili, il problema di una mina non si esaurisce con il momento in cui viene deposta ma in realtà è un’onda lunga, anche in seguito ai conflitti. Su questo esistono degli studi che ci dicono in quanto tempo si risolve il problema su un territorio minato?

«Il problema dipende quanti km quadrati di quel territorio sono inquinati da ordigni inesplosi, da mine o da cluster bomb, perché ricordo che le cluster bomb non sono altro che grossi contenitori che rilasciano un gran numero di submunizioni che non sempre esplodono a contatto con il terreno, ma rimangono lì instabili in attesa di qualche vittima, addirittura sono più instabili delle mine. Le mine rimangono attive sotto terra anche per più di 50 anni, questo significa protrarre e moltiplicare un conflitto per decenni anche dopo la fine delle ostilità esplicite. Il problema dipende soltanto da quanto è “inquinato” il paese».

È un problema che vale anche oggi?

«Certo. Pensiamo a un esempio che adesso è sotto gli occhi di tutti, la Siria. Abbiamo veramente paura di immaginare i prossimi anni nel Paese, che è stato pesantemente bombardato con le cluster bomb sia dalle forze governative, da quelle russe, e in alcuni casi ne hanno fatto uso anche le forze del Daesh. Di conseguenza tutto dipende da quante munizioni, da quante mine, da quanti altri ordigni sono stati scaricati sul territorio. Parliamo in ogni caso di decenni di lavoro».

Per affrontare il problema nel 1997 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì il programma Mine Action. Con quale scopo e quale mandato?

«Cominciamo dicendo che questa convenzione Onu per la messa al bando delle mine antipersona è stata sottoscritta da 162 paesi, quasi l’80% di quelli riconosciuti in seno alle Nazioni unite. Dopo averlo sottoscritto e ratificato i paesi si impegnano non solo nel non produrre mine, e soprattutto in seguito anche cluster bombs, ma anche a non commerciarle e non utilizzarle. Addirittura, si obbligano gli stati a distruggere quelle che hanno nei loro stock. Questo è un impegno enorme e questo trattato, che è stato il primo a essere raggiunto grazie all’impegno diretto della società civile e non seguendo i percorsi diplomatici canonici, ha aperto una finestra su quelli che sono gli effetti degli ordigni nascosti sulle persone civili»

Quali sono stati i punti centrali del convegno di quest’anno?

«Abbiamo ribadito che il problema delle mine antipersona dev’essere trattato oggi come 20 anni fa, sempre con grande attenzione: mentre 20 anni fa non si sapeva esattamente quali fossero gli effetti che questi ordigni avevano sulla popolazione civile, oggi è chiaro a tutti che questi strumenti continuano a mietere moltissime vittime dopo la fine della guerra. Oggi poi è ancora peggio, perché siamo in presenza di moltissimi conflitti asimmetrici che coinvolgono molte forze non governative. Inoltre c’è da registrare un grande disprezzo del diritto umanitario internazionale da parte di molte delle parti coinvolte in queste guerre: la convenzione di Ginevra dovrebbe regolare la protezione dei civili e nel diritto internazionale c’è tutta una serie di articoli che definiscono molto bene quali dovrebbero essere le regole d’ingaggio rispetto alle popolazioni. In teoria non esiste alcuna possibilità di far diventare dei civili un obiettivo: ecco, questa è una cosa totalmente ignorata e questo rende ancora più vulnerabili le popolazioni civili. Ogni anno il 4 aprile richiamiamo l’attenzione sulla vulnerabilità delle popolazioni civili in guerra».

Come si comporta l’Italia in questo senso?

«Bene. Abbiamo uno standard elevatissimo rispetto a questo problema, perché l’Italia già dal 1994 si dotò di una moratoria unilaterale sul commercio e la produzione di mine, poi successivamente deliberò una legge tra le più rigide in materia. Inoltre l’Italia è parte di tutte e due le convenzioni, la convenzione di Oslo e quella di Ottawa, e ha un fondo dedicato alla Mine Action, cioè tutte quelle attività che servono a portare conforto ai paesi e alle popolazioni che hanno territori minati. Inoltre, per tutto il 2017 l’Italia avrà la presidenza di quello che si chiama Mine Action Support Group, che rappresenta i 18 paesi maggiormente coinvolti nel supporto. Ecco, diciamo che l’Italia in questo senso sta guidando questo gruppo di Paesi in seno alle Nazioni unite con una leadership basata sull’esempio».

Ci sono margini per rendere più incisiva l’azione italiana?

«Certo, è un aspetto su cui abbiamo richiamato l’attenzione: va benissimo che l’Italia tenga alta la nostra bandiera in questo ambito di cooperazione, perché sta facendo un grande lavoro, ma riteniamo che proprio per questo il nostro paese debba anche alzare la voce su quelle che sono le violazioni del diritto umanitario quando si bombardano ospedali, quando si uccidono civili, quando le scuole diventano dei target di bombe, che siano cluster bombs o di altro tipo non conta. In questo senso dissentiamo totalmente anche dalla politica dell’Unione europea, perché non alza la voce come dovrebbe su quelle che sono delle violazioni che riteniamo aberranti».

Immagine: Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=607018