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Da Mediterranean Hope alle montagne svizzere. Storia di due fratelli

Appena dodicenne, a giugno dell’anno scorso, ripescato per un pelo nel Canale di Sicilia, alle spalle un viaggio pericolosissimo attraverso il deserto prima sudanese, poi libico, il piccolo eritreo era passato dal Centro di prima accoglienza di Pozzallo e, immediatamente, vista l’età, trasferito presso la «Casa delle culture» di Scicli nel ragusano, il centro di accoglienza per migranti vulnerabili aperto nel quadro del progetto Mediterranenan Hope (MH) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

Sin dal primo momento Abraham aveva chiesto di suo fratello maggiore, Dawit, scappato anche lui ancora minorenne dal regime di Isaias Afewerki qualche mese prima. L’unica cosa che sapeva di lui è che si trovava in qualche paese dell’Europa del Nord. Ieri finalmente, quel fratello, dopo lunghe ricerche e grazie a un regolare ricongiungimento famigliare come previsto dal Regolamento di Dublino, lo ha riabbracciato all’aeroporto di Zurigo. Abraham e Dawit non si vedevano da più di due anni.

Ad accompagnare Abraham durante questo ennesimo viaggio della speranza un tutore legale, un mediatore culturale, e Franzo Trovato, membro della comunità metodista di Scicli, che in questi mesi gli ha fatto simbolicamente da figura paterna e che per nulla al mondo lo avrebbe lasciato partire così. Dawit, per parte sua, ieri mattina era accompagnato dal pastore riformato Christoph Siegrist, titolare della chiesa zurighese del Grossmünster, molto impegnato sul fronte dell’accoglienza, tant’è che lui stesso ospita una famiglia di rifugiati siriani. «I ragazzi sono un po’ frastornati», dice Franzo al cellulare, che racconta come dopo il ritrovamento davvero commovente siano tutti stati invitati a pranzo dal pastore Siegrist, a cui sono legati da una lunga amicizia. Nel pomeriggio Franzo ha poi accompagnato i due fratelli fino a Gais, piccolo comune prealpino nell’Appenzello a pochi chilometri dalle vette innevate che separano la Svizzera dall’Austria e dove Dawit è stato collocato dalle autorità elvetiche. Appena maggiorenne, Dawit che ora vive grazie ad un sussidio, ha acconsentito a fare da tutore per il fratello. A stare loro vicino e accompagnarli nella vita di tutti i giorni ci sarà comunque la comunità riformata di Gais guidata dal pastore Dietmar Metzger.

«E’ bellissimo! E’ bellissimo! Ce l’abbiamo fatta!»: non sta nella pelle la referente della «Casa delle culture», Giovanna Scifo che in questi mesi ha seguito Abraham passo passo. Era stata lei ad andarlo a prendere a Pozzallo 8 mesi fa, tutto tremante e solo, terribilmente solo. «Ma ora per raggiungere il fratello, non voleva prendere l’aereo. Aveva paura, “ci vado a piedi in Svizzera, cosa vuoi che sia, ho attraversato il deserto a piedi” mi ha detto», racconta Giovanna Scifo, che insieme a Federica Brizi del Relocation Desk di MH, ha seguito tutta la pratica perché il sogno di Abraham si avverasse.

«I primi mesi avevamo clamorosamente sbagliato pista – ricorda Federica Brizi -. L’unica cosa che Abraham sapeva del fratello, è che fosse in un paese del Nord Europa, Svezia, forse. Abbiamo mosso anche le ambasciate, nonché l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma in Svezia non c’era nessun Dawit. Fino a quando non abbiamo capito che si era trattato di un qui pro quo: forse non era la Svezia, forse era la Svizzera! Accertato l’errore abbiamo avviato la pratica per ottenere il ricongiungimento – spiega Federica Brizi che ha istruito la richiesta con la cosiddetta «Unità Dublino» del Ministero dell’Interno, che si è poi messa in contatto con l’«Unità Dublino» in Svizzera. «La parte più difficile è stata l’accertamento dell’identità del fratello in Svizzera e tutta la documentazione annessa da produrre. Una volta ottenuto il via libera al ricongiungimento con il fratello, fondamentale è stata la collaborazione con l’Aiuto delle chiese evangeliche svizzere (Aces/Heks) che ha preso contatto direttamente con Dawit», spiega ancora Brizi, sottolineando come tutta la pratica era stata resa possibile dal fatto che Abraham aveva fatto richiesta d’asilo in Italia, e in quanto tale ha potuto accedere al ricongiungimento famigliare verso un altro paese dell’aera Schengen, come previsto dal Regolamento di Dublino. «Sono pochissimi a conoscere questa possibilità, alla quale certo, si può accedere solo se inseriti nelle procedure per l’ottenimento dell’asilo», aggiunge Brizi.

Ha fatto un’alzataccia ieri, Abraham. Alle 3 di notte la piccola delegazione che lo ha accompagnato si è avviata verso l’aeroporto di Catania, da dove hanno preso il primo volo. Per Abraham, abituato a camminare, il primo volo davvero, che dal mare siculo lo ha portato alle montagne svizzere. «Prima della partenza gli abbiamo organizzato una bella festa, la torta, le foto, e c’è stata anche la sorpresa di alcuni ragazzi della scuola, che insieme a tutti i docenti, persino alla preside, sono venuti a salutarlo – ha detto Giovanna Scifo -. Finita la festa, l’abbiamo aiutato con la valigia, lo abbiamo stretto ancora una volta, ed ecco che si è sciolto in un pianto dirotto». Lasciare il mare, la scuola, le amicizie, Abraham improvvisamente non se la sentiva più. E allora tutti a fargli coraggio. Che è meglio essere in due che da soli. E che le amicizie di Scicli sono per sempre. E che avrà nuovi amici in Svizzera. Coraggio Abraham. Comincia un novo capitolo della tua vita di ometto che di coraggio ne ha da vendere!

PS: Il primo capitolo della storia di Abraham l’avevamo già raccontata su queste pagine, ma in accordo con gli operatori di Mediterranean Hope lo avevamo chiamato con uno pseudonimo per proteggerlo. 

Foto Franzo Trovato