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Armi spuntate

Venticinque anni fa, proprio in questo periodo, sulla Gazzetta Ufficiale veniva pubblicata la legge 185/1990, dal titolo “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Dietro un titolo così neutro si nascondeva una tra le normative più avanzate al mondo nel campo del controllo del mercato delle armi, che secondo Giorgio Beretta, analista di Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza, è ancora oggi «una delle prime al mondo in questo settore. La legge italiana è diventata la base per il codice di condotta dell’Unione europea che arriva nel 1998 e che è diventata posizione comune europea soltanto nel 2008, dieci anni dopo».

Figlia di un lungo percorso parlamentare e civile, cominciato negli anni Ottanta in risposta ai numerosi scandali che investirono il settore militare e i vertici delle aziende di Stato nel settore della difesa, la legge cercava soprattutto di porre dei principi in un settore in cui la discrezionalità era l’unica norma. «In quegli anni – racconta Beretta – l’Italia esportava armi verso i paesi in guerra tra loro, come Iran e Iraq, e verso paesi sotto embargo, come il Sudafrica, e vendeva armamenti anche a paesi a cui con un’altra mano inviava aiuti per lo sviluppo». Era necessario cambiare rotta, e per questo nella legge venne inserito un riferimento esplicito all’articolo 11 della nostra Costituzione, nel quale si afferma che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», insieme a un chiaro indirizzo, secondo il quale l’esportazione di armi dev’essere conforme alla politica estera nazionale.

Tuttavia, non sempre una buona legge è sinonimo di buone pratiche, e questi 25 anni non sono trascorsi senza problemi. Per fare il punto su questo primo quarto di secolo della 185/1990, la Rete italiana per il disarmo ha pubblicato un rapporto che sin dal titolo si focalizza sui nodi critici e sulle prospettive dell’esportazione italiana di armi nel mondo. Ed è proprio il mondo a non essere più lo stesso del 1990: «Se è vero che nell’arco dei 25 anni – spiega Giorgio Beretta il 36% delle armi è andato verso i paesi dell’Unione Europea, nello stesso periodo al secondo posto ci sono i paesi del Medio oriente e del Nordafrica: quasi il 25% delle armi esportate dall’Italia quindi è andato verso queste aree, che sono le zone di maggior tensione del mondo». Inoltre, la tendenza si è rafforzata negli ultimi cinque anni, nei quali le percentuali si sono invertite, portando la penisola arabica, il Medio oriente e il Nordafrica a coprire da soli oltre un terzo dell’export italiano in quella che si definisce “industria della difesa”.

Questa tendenza ci mostra un punto debole della nostra legge: nel testo viene esplicitamente vietato di esportare armi verso paesi nei quali ci siano «gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, accertati dai competenti organi delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea», eppure la vendita a governi come quello dell’Arabia Saudita o alle monarchie assolute del Golfo, paesi in cui la tortura e la pena di morte sono pratiche comuni, vive una crescita costante. Racconta ancora Beretta: «se gli organi che dovrebbero valutare le violazioni dei diritti umani non li accertano o li accertano ma non pongono una chiarissima forma di embargo, diventa molto difficile dire che si siano esportate armi in paesi dove tutti sanno che ci siano violazioni dei diritti umani. Questa legge ha valore, ma lascia ancora molto spazio alla discrezionalità dei governi».

Inoltre, non bisogna dimenticare le responsabilità di un paese esportatore come il nostro: basta guardare alla Libia, di cui l’Italia è stato il principale fornitore bellico ai tempi di Gheddafi, armi che sono rimaste nella regione senza alcun controllo anche dopo il 2011, oppure al fatto che i sistemi di puntamento e tiro dei carri armati di Assad, in Siria, siano prodotti da Selex Galileo, controllata di Finmeccanica, per rendersi conto di quanto la decisione di esportare armi a un paese o a un altro possa avere conseguenze impreviste nel medio–lungo periodo. «In questi giorni – racconta Beretta – c’è una denuncia a cui anche Opal ha contribuito, perché una parte delle bombe italiane cedute all’Arabia Saudita sono state usate nella guerra in Yemen, guerra che non è stata ratificata o sostenuta da parte di nessuna risoluzione Onu, quindi si tratta di un intervento militare unilaterale saudita. Queste situazioni a cui stiamo fornendo benzina diventano poi fuoco». Per ovviare, almeno in parte a questo problema, bisognerebbe rivedere alcuni aspetti della legge, restituendo al Parlamento il suo ruolo chiave, quello del controllo, definito proprio nella normativa del 1990. Ogni 12 mesi, infatti, il governo fornisce al Parlamento un rapporto di oltre duemila pagine sulle operazioni di autorizzazione e vendita di armi all’estero, ma negli ultimi nove anni sono stati dedicati appena 50 minuti complessivi alla lettura di questo documento, che racconta invece di un giro d’affari e di un segno positivo nella bilancia commerciale per miliardi di euro. Questo stato di abbandono di un livello di controllo fondamentale ha portato con sé, spiega Giorgio Beretta, «un continuo deterioramento della trasparenza». In effetti, 25 anni fa, quando il governo Andreotti varò questa legge, nel documento annuale venivano riportati con precisione tutti i dettagli, dall’azienda a cui veniva data l’autorizzazione fino agli specifici importi di ogni singola vendita, il tutto tracciato con un report bancario sulle transazioni. Oggi non è più così: «possiamo sapere che all’Arabia Saudita o all’Algeria sono stati venduti genericamente “velivoli”, non sappiamo neanche per quale quantità, ma un conto sono velivoli come elicotteri per il soccorso marino venduti alla guardia costiera, un altro sono i Mangusta che servono per l’attacco aereo al suolo. Parlare di “velivoli” è come parlare del nulla».

Quando si pensa ai governi guidati da Giulio Andreotti il primo pensiero non corre certo a un mondo politico cristallino, eppure, conclude Beretta, «ripristinare la trasparenza dei tempi di Andreotti sarebbe un grandissimo regalo da parte del governo Renzi per il venticinquesimo anniversario di questa legge».

Foto: “Beretta 90TWO closed” di PraiyachatOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.