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Il dramma dei migranti Rohingya

Mentre l’Unione Europa è impegnata in queste ore a capire come gestire gli arrivi di migranti che si mettono in viaggio sfidando le acque del Mediterraneo, dall’altra parte del mondo, nelle acque dell’Oceano Indiano, si sta consumando un’altra grave crisi umanitaria che vede protagonisti i Rohingya, una delle minoranze etniche più perseguitate nel mondo, secondo i rapporti delle Nazioni Unite.

Come i migranti del Mediterraneo, questi uomini donne e bambini, dopo aver pagato ingenti somme di danaro a trafficanti di esseri umani senza scrupolo, si mettono in viaggio stipati su carrette del mare, sono vittime di violenze e abusi, e rimangono abbandonati in mare anche per settimane senza cibo, acqua e in pessime condizioni igienico-sanitarie.

A intraprendere in questo caso i viaggi, che spesso si giocano sul sottile confine tra vita e morte, sono bengalesi e soprattutto rohingya.

I Rohingya sono un gruppo etnico di fede musulmana, che pur vivendo da quasi un secolo nello Stato birmano di Rakhine, al confine con il Bangladesh, ad oggi non sono riconosciuti come una delle 135 etnie ufficiali della Birmania, non godono del diritto di cittadinanza, e rimangono in una condizione di apolidia nella loro terra.

Trattati come immigrati irregolari, i rohingya vivono in campi profughi, privati dell’accesso alle cure mediche e all’istruzione. Senza documenti, non possono viaggiare, non hanno diritto alla proprietà privata e, da qualche tempo, non possono avere più di due figli a famiglia.

La discriminazione nei loro confronti è peggiorata a partire dal 2012 quando i rakhine, la comunità buddista più numerosa nell’omonimo stato, hanno incendiato interi villaggi e ucciso centinaia di rohingya.

È per sfuggire a queste condizioni che in migliaia tentano la fuga nei paesi confinanti. Negli ultimi tre anni l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), stima che più di 120 mila rohingya si sono messi in viaggio. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), solo nei primi tre mesi del 2015, sono fuggiti in mare circa 28.500 persone.

Recentemente l’organizzazione Human Rights Watch ha raccolto le testimonianze di alcuni rohingya che sono sopravvissuti ai pericolosi viaggi in barca dalla Birmania e dal Bangladesh dove sono state vittime di abusi e violenze perpetrate da trafficanti di esseri umani.

L’attenzione internazionale si è soffermata nelle ultime settimane sulla condizione di questa minoranza etnica in seguito alla scoperta, avvenuta ad inizio maggio, di oltre un centinaio di fosse comuni, al confine con la Thailandia, con corpi che, si sospetta, siano di rohingya e bengalesi che avevano tentato di fuggire via terra.

A fine maggio la Thailandia ha convocato un vertice di Paesi asiatici e osservatori umanitari internazionali che si è riunito a Bangkok per far fronte all’emergenza delle migrazioni in Oriente. Mentre Malesia e Indonesia hanno accettato di accogliere e dare rifugio alle barche erranti da settimane e mesi tra le isole Andamane e l’Indonesia, la Thailandia ha già detto che continuerà a rifornirle soltanto di viveri e rispedirle al largo, impedendo ogni sbarco. 

Foto “ROHINGYA (8093616613)” di Firdaus LatifROHINGYA Uploaded by russavia. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons.