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La frontiera dei diritti è a Ventimiglia

Da alcuni giorni centinaia di persone in transito, soprattutto da Eritrea e Sudan, sono rimaste bloccate a Ventimiglia. I controlli della gendarmeria francese sono aumentati dopo la temporanea sospensione del trattato di Schengen in Germania durante il G7 della settimana scorsa. La Francia, però, non ha sospeso il trattato che prevede la libera circolazione all’interno della maggior parte degli stati Ue, motivo per cui è stata accusata, anche dal Governo italiano, di non rispettare gli accordi. I migranti sono rimasti per giorni a un centinaio di metri dal confine francese, e le immagini riportavano alla memoria i blocchi di frontiera del 2011, all’indomani delle primavere arabe. Questa mattina i migranti sono stati sgomberati da alcuni luoghi in cui si erano assiepati.

Ne abbiamo parlato con Alessandra Ballerini, avvocata, consulente legale della Caritas di Ventimiglia e di Terres Des Hommes.

Che cosa ha visto a Ventimiglia?

«Domenica ero a Ventimiglia per rendermi conto della situazione: mi ha ricordato il 2011, durante le primavere arabe, in cui si era verificato qualcosa di simile. La popolazione alla stazione e nel piazzale antistante era composto soprattutto da africani subsahariani provenienti dalla Libia, sudanesi, donne e uomini provenienti dall’Eritrea, Guinea, Ghana, Togo e Mali. Molti i minori non accompagnati, bambine, bambini molto piccoli e donne incinte. Ho visto persone provate, sia dal viaggio, sia dalle condizioni in Libia. A Ventimiglia queste persone sono in mano ai volontari, che sono meno numerosi rispetto al passato, ma sono encomiabili: domenica sera sono stati distribuiti 400 pasti e doveva ancora arrivare l’ultimo treno. Alla stazione ci sono i respinti oltre alle persone che arrivano da Milano e Roma in attesa di varcare la frontiera, termine ridicolo, visto che esiste il trattato di Schengen che, in questo caso, non è stato sospeso dalla Francia. Sulle autostrade non ci sono controlli, e i passaggi illegali vengono comunque garantiti, dando prova che chiudendo i canali legali si favoriscono quelli illegali e il traffico di persone».

Ma questo blocco è possibile dal punto di vista giuridico?

«Per quello che ho visto, dal punto di vista giuridico i respingimenti sono illegittimi perché sono informali, poiché non viene notificato nessun tipo di provvedimento, e perché sono collettivi, fatti indiscriminatamente senza tener conto delle situazioni individuali di vulnerabilità. Queste persone fisicamente non possono passare per lo sbarramento della gendarmerie francese che minaccia l’uso dei manganelli. La polizia italiana è abbastanza mite: un agente della polizia ferroviaria si lamentava che i giornalisti chiamano queste persone “clandestini”, anche se sappiamo che sono persone portatrici del diritto di asilo, sancito dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione di Ginevra e vanno chiamate come tali. La confusione mediatica non aiuta, perché fa sentire le gli italiani invasi da irregolari: ma non è così, queste persone hanno diritto di stare qui o chiedere asilo in paesi che hanno ratificato la Convenzione di Ginevra».

Il nodo resta il trattato di Dublino?

«Dublino impone ad un paese di farsi carico di un profugo che è stato identificato sul suo territorio. Ma le persone non sbarcano in Germania o in Svezia e se vengono identificate in Italia, dovranno fare la domanda d’asilo qui. Le persone di cui parliamo non vogliono restare nel nostro paese. Se chi cerca protezione potesse circolare liberamente e chiedere asilo nei paesi che preferisce, tutto questo non accadrebbe. Inoltre le persone a Ventimiglia non erano tutte identificate in Italia, quindi a maggior ragione avrebbero dovuto poter circolare. A livello politico non si è ancora parlato del superamento della Dublino, si è detto che se ne parlerà nel 2016: ma il problema è adesso. Si parla di quote in maniera confusa e inadeguata rispetto agli arrivi sulle nostre coste. Finché non ci sono degli standard di accoglienza europei garantiti in tutti gli stati, è evidente che queste persone continueranno a spostarsi e cercare un futuro migliore».

Permessi umanitari, lotta agli scafisti: cosa pensa del “piano B” di Renzi?

«Così come è stato enunciato fa acqua: sull’attivazione del permesso per motivi umanitari abbiamo già avuto l’esperienza negativa del 2011. Abbiamo dato un permesso di soggiorno senza attivare la procedura europea prevista dalla direttiva 55/2001. Senza la procedura quel permesso vale solo in Italia, ed è stato il motivo per cui nel 2011 la Francia bloccò i suoi confini. La procedura europea di cui parlo dà la possibilità di attivare un permesso provvisorio senza passare da commissioni, con spese ingenti per gli stati e attese lunghe per i richiedenti, che consente di lavorare e di spostarsi tra stati. La lotta agli scafisti con la forza è demenziale: molti ammiragli hanno spiegato che un blocco navale avrebbe bisogno di 150 navi. Se non si potrà partire dalla Libia, si partirà dall’Egitto: bloccare le partenze non solo non risolve il problema dei profughi, ma è utopistico. Vuol dire costringerli a morire un po’ più lontani da noi, non nel nostro mare. Abbiamo l’idea che i diritti siano divisibili, ma è l’opposto. Tutelando i loro diritti, tuteliamo anche i nostri. I confini si tutelano controllando chi entra e permettendo di esercitare il diritto di asilo prima di aver varcato il nostro confine. Se noi garantiamo il diritto solo dopo l’arrivo lo abbiamo fatto parzialmente, ma i diritti non sono un’estrazione al Lotto: è come se la Fortezza Europa scommettesse sulle persone che muoiono prima di richiedere questo diritto. Il problema si risolve con i canali umanitari».

Come quello del progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia?

«Conosco questo progetto e lo supporto moralmente. Noi ne abbiamo anche un altro: un appello che abbiamo fatto al papa in cui abbiamo chiesto a lui di aprire dei canali umanitari attraverso i suoi ambasciatori, i Nunzi apostolici. Lo Stato Vaticano ha aderito alla convenzione di Ginevra ma non è vincolato dal regolamento di Dublino. Le persone che scappano potrebbero rivolgersi al Nunzio apostolico, ottenere un lasciapassare per lo Stato Vaticano dove trovano le ambasciate di circa 170 Paesi, e da lì avere la possibilità di fare richiesta di asilo dove vogliono».

Copertina: Orangejon via Flickr – CC 2.0